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Il Montemaggiore
Il Monte Maggiore (1036 m slm) è il più alto della catena preappenninica dei Monti Trebulani, un massiccio montuoso posizionato nel cuore della provincia di Caserta. Noi in effetti ci occuperemo dell'intera area dei Monti Trebulani, ma abbiamo chiamato questa sezione: Monte Maggiore, perchè è così che si chiama la Comunità Montana di cui fanno parte la maggior parte dei comuni di questa area.
La catena dei Trebulani è posizionata a sud est del complesso vulcanico di Roccamonfina, all'incirca a metà strada tra quest'ultimo e il massiccio del Matese. È costituita per lo più da colline e montagne al di sotto dei 1000 m di altezza, con clima sostanzialmente mite, soprattutto nella parte occidentale perchè più soleggiata e soggetta agli effetti mitigatori del mare, dal quale dista circa 30 km.
Il gruppo montuoso si estende da nord a sud per 21 km dal borgo Sant'Antonio Abate in Pietravairano fino alla stretta di Triflisco nel comune di Bellona, mentre da ovest ad est per 14 km tra i preappennini di Pignataro Maggiore fino al comune di Alvignano. Confina a Nord Ovest con il complesso vulcanico di Roccamonfina, a ovest e a sud con la Pianura Campana, a est con la Piana del medio Volturno, che lo separa dal Massiccio del Matese, dal quale dista circa una decina di Km.
La mitezza del clima, la presenza di numerosi corsi d'acqua e la discreta abbondanza di precipitazioni, soprattutto in autunno e primavera, fanno si che anche questo gruppo montuoso è ricco di vegetazione, che con il suo caratteristico colore verde, rende l'ambiente salubre e rilassante. Predominano i boschi di latifoglie, con la Quercia, il Cerro, il Leccio, l'Acacia, a quote più alte il Castagno, la Betulla, il Faggio, ma non manca nemmeno la macchia Mediterranea con i caratteristici boschi di conifere. Ovviamente ai boschi sono sempre associati i prodotti del sottobosco, con molte varietà di Funghi (porcino reale, ovulo, gallinaccio), fragoline, corbezzolo, melo selvatico.
Per quanto riguarda la fauna, nei boschi di queste montagne abbondano i Chinghiali, le Volpi, Lepri, Conigli Selvatici, Ricci, e anche esemplari di Donnole, Tassi e Istrici, più un ampia varietà di roditori, che va dal Topo, al Moscardino, al Ghiro e lo Scoiattolo. Per quanto riguarda gli uccelli, vi è una grande varietà di passeracei, come il Merlo, il Tordo e l'Usignolo, ma vi sono anche rapaci, sia diurni come il Falco Pellegrino, il Nibbio, la Poiana, la Sirenella, che notturni come il Gufo, il Barbaggiani, la Civetta. Sempre tra gli uccelli sono molto popolose le colonie di Picchi, Cornacchie e Gazze.
Per quanto riguarda la viabilità il complesso montuoso è circumnavigabile grazie a grandi arterie come la S.S Casilina (SS.6) che costeggia quasi tutto il versante occidentale da nord a sud. Sul versante meridionale l'area è attraversata dalla SS. Sannitica (SS.87), che da Capua porta a Caiazzo e quindi nel Beneventano e sul versante settentrionale ed orientale è costeggiato dalla SS. Telesina (SS.372), che da Caianello percorre tutta la Valle del Medio Volturno continuando nel Beneventano. Su versante orientale è anche possibile viaggiare sulla SS. 158, che da Caiazzo passa per Alvignano, Dragoni, fino a Baia e Latina, da cui si può proseguire dritto e arrivare così a Pietravairano e Vairano Patenora, dove ci si immette di nuovo sulla Casilina, oppure svoltare a sinistra passando per Roccaromana, Pietramelara, Riardo e di nuovo Casilina.
La differenza tra questo complesso montuoso e quello di Roccamonfina è che quest'ultimo ha un profilo molto dolce, mancano dirupi e pareti rocciose e mancano boschi naturali, ma è intensamente coltivato con castagni piantati per la maggior parte dall'uomo, il complesso dei monti Trebulani invece ha piì un aspetto montuoso, con dirupi, rocce, aumenti bruschi della pendenza, e anche se a basse quote è l'agricoltura ha sostituito la vegetazione spontanea, a quote più elevate la vegetazione è quasi del tutto spontanea, con fitti boschi di latifoglie tipici degli ambienti montuosi. Considerando anche che la maggior parte della pololazione si concentra quasi tutta alle pendici dei monti, mentre a quote più elevate abbiamo solo tre piccoli comuni: Rocchetta e Croce, Fromicola e Liberi, possiamo dire che il paesaggio dei Monti Trebulani è molto più naturale e selvaggio rispetto a quello del Vulcano di Roccamonfina, boschi, praterie, ruscelli, fiori di ogni genere che crescono spontaneamente nei campi e ai bordi delle strade, paesini dove il tempo sembra essersi fermato e dove ci si può realmente disintossicare dallo stress e dal trambusto della vita quotidiana.
In questi luoghi la storia non è stato solo un lento inesorabile scorrere del tempo, ma ha lasciato tracce tangibili del suo passaggio. Ultimo contrafforte montuoso del bellicoso popolo dei Sanniti che segnava il confine tra i massicci appenninici di questo popolo di montanari con la fertile pianura Campana e con le progredite città greche della costa, era come tutti i luoghi di confine abbondantemente fortificato e rappresentava un punto di contatto tra i popoli dell'entroterra (Sanniti) e i popoli della pianura e del mare (Etruschi, Greci, Sidicini, Aurunci). I Sanniti lasciano le loro tracce della loro permanenze nei tanti resti di mura, città, fortificazioni, necropoli che ogni tanto vengono alla luce e nelle tradizioni millinerie legate alla pastorizia, che anche se non è più la fonte primaria dell'economia locale, occupa sempre un fetta importante nel contesto economico locale.
Anche i Longobardi hanno lasciato il loro segno nel contesto religioso e culturale del luogo, ultimo ricordo del loro passaggio è il culto per San Michele (molto venerato dai Longobardi), che in questi luoghi è molto diffuso e lascia il segno più tangibile nella frazione Profeti di Liberi, dove la millenaria Grotta di San Michele vede perpetuarsi un culto che è vecchio di 12/13 secoli.
Anche il fenomeno del monachesimo, che tanta diffusione ha avuto durante il medioevo, ha lasciato le sue tracce nei rinomati Eremi del Monte Maggiore, che vedono la loro massima espressione negli eremi di Frate Janne e di San Salvatore, siti nel comune di Rocchetta e Croce.
Ogni paese ha il suo castello, la sua storia e la sua cultura. Chi decide di trascorrere un pò di tempo da queste parti, troverà la tranquillità della montagna, il fascino dell'arte e della storia, il piacere di una cucina tipica e genunina, senza dimenticare che si sta solo a mezz'ora di macchina dal mare.

Uno dei paesi storicamente più importante dell'area è sicuramente Calvi Risorta. Sito alle pendici del Monte Maggiore, sul versante occidentale, Calvi Risorta è un paese di circa 5000 abitanti le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
L'attuale città sorge infatti nel sito dell'antica città di Cales, fondata dal popolo degli Ausoni. Le numerose campagne di scavi fatte nella zona hanno portato alla luce tombe e costruzioni le più antiche delle quali possono datarsi intorno all'VIII secolo a.c. Gli oggetti provenienti dal corredo funerario rinvenuto nelle tombe mostrano influenze di arte greca ed etrusca il che dimostra che già all'epoca la città doveva avere una notevole importanza, tanto di intrattenere scambi commerciali con i popoli vicini.
Ma il periodo del massimo splendore per Cales è quello della dominazione romana, tanto da dare il nome all'ager di cui faceva parte, detto ancora oggi Ager Caleno. Il sito archeologico di Calvi è per l'abbondanza dei ritrovamenti, uno dei più importanti della Campania e considerando che gli scavi sono stati solo parziali, si può dedurre che la sua importanza è destinata ancora ad aumentare.
L'antica città sorgeva proprio a ridosso della Via Latina il che la fece diventare un'importante centro di scambio tra Campania, Lazio e la zona interna del Sannio. Era molto rinomata nel mondo romano per il suo vino: Vino Caleno e per la produzione di ceramiche che esportò in tutta Italia. Nel periodo tardo repubblicano essa fu sede del Quaestor della Campania.
Le campagne di scavo hanno portato alla luce parte dell'antico Foro, le mura romane, la maggior parte riconducibili all'etaà di Silla, sono sviluppate su mura più antiche, rilasenti al IV secolo a.c. Il teatro, anch'esso risalente all'età di Silla, ma costruito su un antico edificio del V-IV secolo a.c.
Sono stati ancora rinvenuti i Bagni e in loro prossimità un tempio a terrazze sempre del periodo Sillano. Un altro tempio risalente all'inizio del periodo imperiale, non lontano dal quale sono state trovate offerte votive appartenenti a un santuario risalente all'epoca pre-romana. Le Terme, databili alla prima metà del II secolo d.c.
L'antico abitato di Cales è sito in un pianoro delimitato da due valloni percorsi dai torrenti Rio Lanzi e Rio Pezzassecca, su quest'ultimo si trova un antichissimo ponte (IV secolo a.c), Ponte delle Monache tagliato nel tufo grigio che trova confronto solo con il Ponte Sodo di veio.
Ma ciò che mi ha più colpito documentandomi su questo comune, non è stato tanto la grandiosità delle opere che possiede, quanto il loro stato di abbandono e per farvene un'idea potete leggere voi stessi dal sito dell'Archemail, che ne fa un'accurata descrizione.
Com'è possibile che un comune che possiede opere appartenenti a tutte le epoche storiche non abbia un museo e non abbia un parco archeologico curato e fruibile al pubblico? È possibile avere l'oro sotto i piedi e fregarsene altamente? Scavi fatti solo parzialmente e superficialmente, quando non ci vorrebbe certo un'esperto per capire che scavando in modo accurato all'interno delle antiche mura per portare alla luce l'antica città romana. Edifici per la maggior parte incostuditi, inaccessibili e coperti da rovi ed erbacce. Necropoli che contengono inestimabili tesori lasciate ai saccheggi dei tombaroli che avranno arricchito le collezioni private di mezzo mondo. Un paese che potrebbe vivere di turismo e invece i suoi abitanti saranno costretti ad emigrare per trovare lavoro. Mi chiedo ma di cosa si occupano il comune, la comunità montana, la provincia, la regione, le varie soprintendenze per i beni archeologici, quando permettono che opere del genere restino nell'oblio o alla mercè di gente senza scrupoli? Magari in ognuno di questi enti ci sono 10 impegati per rilasciare un certificato, ma nessuno che si occupi seriamente di fare qualcosa utile per il territorio di loro competenza.
Valorizzare un sito del genere significherebbe valorizzare non solo quel comune, ma l'intera provincia e l'intera regione, ma a parte le belle parole pronunciate dai politici durante le campagne elettorali e i loro ambiziosi programmi, poi di fatti ne seguono ben pochi e di programmi veri non ce ne sono, ma si va avanti con la consueta formula del Tira a Campare.
Si dice che siamo il paese che ha più disoccupati, ci sono migliaia di cassa integrati a cui lo stato paga per tenerli a casa, ma ci vorrebbe tanto a riqualificarli e fargli fare lavori utili per loro, per i propri figli e per la propria comunità?

Comunque scusate questo breve sfogo e torniamo alla storia della città.
Dopo la caduta dell'impero romano (476 d.c), Calvi, come tutta l'area passò sotto il dominio dei Longobardi di benevento, ma continuò a mantenere ancora una certa importanza, visto che divenne sede vescovile. finchè intorno all'880 fu distrutta dai saraceni. Allora l'antica Cales, fu abbandonata per sempre e la città iniziò a svilupparsi poco più ad est, nellà sito di Calvi Vecchia, dove come raccontato dallo storico Longobardo Echemperto, sorgeva già una fortezza costruita dai Longobardi. Tale fortezza doveva essere il nucleo originario dell'attuale castello. Dell'originaria costruzione Longobarda, ormai non restano tracce e l'attuale aspetto del castello è quello conferitogli dall'ultima ristrutturazione, avvenuta XV-XVI sotto la dominazione Aragonese.
Calvi oggi vive prevalentemente di agricoltura, ed è ben collegata con i centri della zona. L'attuale centro abitato si sviluppa infatti a ridosso della SS Casilina, dalla quale sono facilmente raggiungibili gli svincoli autostradali di Capua (7/8 km), o di Caianello (una decina di km). La stazione ferrioviaria più vicina è quella di Sparanise sulla linea Napoli-Roma, che si trova a circa 3 km. Da vedere: Scavi Romani Come abbiamo giì detto nel sito archeologico è possibile ammirare il grandioso Teatro di età repubblicana, che è stato ristrutturato ed &grave visitabile su prenotazione. I resti dell'Anfiteatro, delle Terme, il Ponte delle Monache del IV secolo a.c e dei vari Templi, rinvenuti nel sito.
Cattedrale Romanica edificata agli inizi del IX secolo e recentemente restaurata, è stata visitata più volte anche da Vittorio Sgarbi.
Costruita su un antico tempio, forse dedicato a Giano, si presenta a tre absidi e conserva numerose opere d'arte medievali, tra cui un sarcofago dell'VIII secolo. La sagrestia conserva affreschi risalenti al 1700 dell'artista napoletano Angelo Mozzillo. Interessante è anche la cripta che conserva numerosi elementi di spoglio, tra cui diversi capitelli, provenienti dall'antica Cales.
Castello Medievale, si trova vicino alla cattedrale. Costruito forse in epoca Angioina, su un'antica fortezza Longobarda, ma radicalmente ristrutturato in epoca aragonese, si presenta a pianta rettangolare con quattro torri circolari. Oggi la struttura è in restauro e dovrebbe ospitare il museo dell'antica Cales.
Grotte. Di notevole interesse sono la Grotta dei Santi e Grotta delle Formelle, scavate nel tufo dai monaci di San Basilio venuti dall'Oriente, dove in quel periodo veniva perseguitata l'iconoclasia, che presentano affreschi del X-XI secolo di chiaro influsso Bizantino.

Piccolo paesino facente parte dell'Agro Caleno, sito a soli 5 km da Calvi Risorta e a 225 m di altitudine slm, sulle alture che fanno da cornice al Monte Maggiore, è Giano Vetusto.
Con soli 650 abitanti, il paese si trova in una posizione predominante, dalla quale è possibile ammirare uno spettacolare panorama su gran parte della pianura Campana, spaziando con l'occhio fino al mare e al Vesuvio. Fonte primaria di sostentamento è l'agricoltura e principalmente l'olivocoltura che viene fatta in modo biologico riducendo al minimo l'impiego di medicinali e concimi e produce un olio di oliva di ottima qualità.
Come dice stesso il nome del paese la sua origine deve essere molto antica e legata essenzialmente all'esistenza in zona di qualche tempio dedicato al Dio Giano, tempio che comunque non è stato ancora trovato.
Nonostante manchino notizie storiche certe, la frazione più antica del paese, quella di Rocciano, doveva già esistere in epoca romana come sobborgo dell'antica Cales, mentre sempre nello stesso periodo nel territorio dovevano esistere industrie e laboratori artigianali, come attestano i resti di epoca romana rinvenuti in località Marotta di una piccola industria di laterizi e anfore vinarie e altri ruderi esistenti in località Selva.
Dopo la caduta dell'impero romano, le ricche e prosperose città della pianura cominciarono a spopolarsi, a causa delle scorribande e saccheggi da parte dei barbari che scorazzavano sull'intero territorio italiano e gli abitanti si spostarono sulle alture che erano più inaccessibili e meglio difendibili. Quindi in questo periodo anche l'antica Cales iniziò a spopolarsi e i suoi abitanti si dovettero trasferire parte nell'antica Rocciano, Rocca Jani (Rocca di Giano) mentre altri si dovettero spostare ancora più in alto, fondando l'attuale città di Rocchetta e Croce.
In epoca Longobarda dovette essere fondata la frazione di Curti, infatti in epoca Longobarda le antiche ville romane presero il nome di Curtis, villa, fattoria. Ma le prime notizie storiche su Giano Vetusto risalgono all'undicesimo secolo, quando si ha notizia di un saccheggio subito ad opera dei saraceni. Non si sa con precisione quando Giano Vetusto smise di essere frazione di Calvi e diventò un'entità urbana autonoma, ma sicuramente prima del 1425, in quanto in quell'anno dovette intervenire la regina Giovanna II di Napoli, per risanare una disputa tra Calvi e Giano e incaricò Goffredo di Gaeta di tracciare con estrema precisione i confini tra i territori delle due città. Sempre per lo stesso motivo dovette intervenire nel 1468 il Re Ferdinando I d'Aragona.
Notizie di devastazioni del territorio di Giano risalgono al 1501, quando il piccolo paese fu devastato dalle feroci masnade di Cesare Borgia e nel 1647 durante la rivolta napoletana di Masaniello fu saccheggiato dal Duca di Maddaloni: Diomede V Carafa.
Nel 1811 con le riforme amministrative apportate dal Re di Napoli, Gioacchino Murat, Giano diviene comune autonomo e mantiene questo appellativo fino al 1863, quando dopo l'unità d'Italia, deve aggiungere l'attributo Vetusto per distinguersi da un altro comune di Giano esistente nel territorio nazionale.
Oltre al relax, al buon cibo condito con l'ottimo olio delle olive gianesi e alla purissima e leggerissima acqua che sgorga dalle sorgenti di Giano, nel piccolo paesino collinare del Monte Maggiore, potete ammirare uno stupendo panorama sull'intera pianura Campana e visitare monumenti di rilevante interesse sotrico e artistico, come: La Chiesa Madre dei SS. Fillippo e Giacomo, costruita nella seconda metà del XIX secolo nella frazione di Pozzillo. Il soffitto e le pareti sono finemente decorati con affreschi di influsso neoclassico e custodisce l'antico e pregiatissimo altare della preesistente Cappella del Corpo di Cristo, fatto di pietra tufacea (piperno) scolpita a mano da maestranze locali.
La Chiesa di Santa Maria di Giacomo, detta poi di San Filippo, antica chiesa madre del paese, sorge sul Monte Frattiello che poprio dalla Chiesa prende il nome di collina di San Filippo. La Chiesa fu abbandonata nella seconda metà del XIX secolo quando fu costruita la nuova chiesa madre dei SS. Filippo e Giacomo e restaurata nel 2006, rendendola di nuovo officiabile, ma nel periodo di abbandono, i furti subiti l'hanno completamente depauperata di tutte le opere artistiche di arredo che conteneva. All'interno si può ammirare solo un affresco nell'abside riguardante una visita della Madonna alla cugina Elisabetta, ma è molto interessante la facciata esterna di chiaro influsso romanico, a testimonianza dell'antichità della costruzione.
L'antichissima Chiesa di San Martino di Tours, oggi ridotta a rudere, sotto la quale si dovrebbe trovare l'antico tempio del Dio Giano, dal quale il paese prende il nome.
Ruderi di epoca Romana, rinvenuti in località Marotta dalla sopraintendenza dei Beni Culturali nel 1992 e che si riteneva fossero i resti dell'antico Tempio di Giano, portarono alla luce invece un complesso artigianale dei II secolo a.c destinato alla produzione di laterizi e anfore vinarie. Successivamente nel II secolo d.c la destinazione del complesso fu mutata in tintoria, con la costruzione di vasche più piccole in opera mista. La struttura fu utilizzata anche nel Medio Evo trasformandola in Chiesa e successivamente fu adibita alla sepoltura dei morti.
Borgo di Rocciano, oggi completamente abbandonato, è stato abitato fino alla metà del secolo scorso. Presenta la caratteristica struttura dei borghi rurali medievale, con case di antichissima costruzione e stradine pavimentate con pietra calcarea.
Palazzo De Fancis, di propietà degli antichi feudatari del luogo, è stato oggetto di visita anche da parte dei Re della famiglia Borbone di Napoli.
Per chi vuole approfondire la conoscenza e la storia del piccolo e suggestivo paese, può guardare questo interessantissimo Video, realizzato da studiosi del luogo.

Da Giano Vetusto percorrendo una ripida e tortuosa stradina, altamente panoramica, dopo 4/5 km si giunge a Roccheta e Croce, piccolo ma suggestivo paese il cui centro, Rocchetta, è posto su uno sperone roccioso a circa 450 m slm e dominato dalla vetta del Monte Maggiore.
Il paese conta circa 500 abitanti ed è costituito dal capoluogo Rocchetta e dalle frazioni di Croce, Val d'Assano, Petruli, Biasi e Montanari.
La presenza dell'uomo nel territorio del comune risale a tempi antichissimi come dimostra la necropoli di epoca eneolitica portata alla luce nel 1830 nei pressi dell'attuale centro di Rocchetta. Gli scavi portarono alla luce luce tombe a incenerazione, con copertura di pietra calcarea, e corredi costituiti da vasi d'impasto, armi in ferro e in bronzo, le più delle quali risalgono al IX secolo a.c.
Ovviamente anche il territorio del comune di Rocchetta seguì le sorti di tutta la regione, cadendo prima sotto il dominio dei Sanniti e poi dei Romani. La presenza dei romani è testimoniata dall'imponente ponte nella frazione di Val d'Assano, forse costruito subito dopo 343 a.c anno in cui i i romani strapparono il territorio ai Sanniti e il ritrovamento di terrecotte votive in località Loreto che fa ipotizare la presenza di un santuario di età repubblicana.
La nascita dei due attuali borghi di Rocchetta e di Croce, deve essere avvenuto dopo l'abbandono della città di Cales, i cui abitanti in seguito ai numerosi saccheggi subiti dopo la caduta dell'impero romano cercarono rifugio in luoghi più sicuri. Il luogo fu fortificato da un imponente castello costruito con tutta probabilità intorno all'ottavo secolo dai nuovi dominatori Longobardi. La rocca doveva essere una fortezza praticamente inespugnabile, tanto che i nuovi conquistatori Normanni nell'XI secolo, rinunciarono definitivamente alla conquista, ma ironia della sorte, la fortezza che doveva servire a difendersi dai saraceni, che insediatisi verso la fine del IX secolo alla foce del Garigliano, tartassano l'intera regione con le loro scorrerie e saccheggi, fu conquistata proprio da questi ultimi, che si annidarono in essa per molti anni, facendone una base di partenza per le loro scorribande. Riguardo questo periodo della dominazione dei saraceni, peraltro non confermato da fondi storiche, sopravvive anche una suggestiva leggenda, la storia d'amore tra Erazia e Chadidan:
I saraceni tramite un passaggio segreto scavato nella montagna, scendevano a a valle dalla loro roccaforte e con rapidi e fugaci raid facevano razzia delle città che incontravano nel loro cammino. Essi erano soprattutto dedidi al rapimento delle giovani donne, che poi vendevano come schiave sui mercati arabi o ai ricchi sceicchi per infoltire i loro nutriti harem. Si narra che Chadidan, capo della rocca si invaghì di una bellissima fanciulla di nome Erazia, rapita dai suoi uomini a Francolise in una delle loro sortite. Ovviamente decise di non venderla e di tenerla con se e in onore della fanciulla che forse ricambiava il suo amore, fece costruire nel castello dei magnifici giardini pensili e due stanze alle quali solo loro due potevano accedere. Ma la leggendaria bellezza della ragazza superò anche il mare e giunse all'orecchio del suo sultano, che chiese immediatamente la donna per se. Chadidan fu costretto a cedere la bellissima Erazia, ma tale privazione gli procurò la pazzia. Fece distruggere i giardini le stanze costruite in onore dell'amata, sperando di cancellare così anche il suo ricordo, ma a quanto pare niente riuscì a fargliela dimenticare, in quanto si racconta che nell'autunno del 1802 durante dei lavori di scavo, su una parete del castello furono trovate scolpite queste parole: "Vivrò sempre in tristezza Erazia... La disgrazia mi colpì. Chadidan l'infelice...".
Ma lasciando la suggestiva e romantica leggenda e passando alla storia, il feudo di Rocchetta appartenne alla baronia dei Vescovi di Calvi, infatti i vescovi della diocesi di Teano-Calvi conservano tutt'oggi il titolo di Barone di Rocchetta. Con la fine delle scorrerie dei saraceni i vescovi trasforano il castello in una specie di eremo, luogo di culto e di preghiera.
Nel corso dei secoli il feudo fu detenuto da diverse famiglie come i Stendardo, i Marzano e i Carafa, fino al 1806 quando vi fu l'eversione della feudalità e nel 1811 con le riforme amministrative apportate da Gioacchino Murat, Rocchetta divenne comune autonomo. Il comune mantenne la denominazione di Rocchetta fino all'unità d'Italia, quando fu costretto ad aggiungere anche Croce, per distinguersi da un altro comune denominato Rocchetta sito in Liguria.
Da visitare cè il Borgo antico di Rocchetta d'impianto tipicamente medievale, con stradine concentriche poste a livelli differenti, i quali sono collegati con angusti vicoletti e ripide scalinate. Esso si sviluppa intorno a quello che una volta doveva essere l'imponente rocca, di cui oggi rimangono solo le mura perimetrali cotruite il pietra calcarea.
Chiesa parrocchiale dell'Annunziata, edificata nel XV secolo e radicalmente ampliata e ristrutturata nel XVIII . Presenta un portale esterno, riquadrato da lesene e sormontato da una cornice contenente un affresco dell'Annunciazione. L'interno, costituito da un'aula con volta a botte lunettata, conserva dietro l'altare maggiore un'Annunciazione datata 1800 e firmata da Angelo Mozzillo.
Eremo di San Salvatore, sorge nella frazione di Croce, a quota 857 m slm. Esso si raggiunge tramite tortuosi sentieri di montagna ed è sospeso per tre lati sul vuoto, con l'unico ingresso ad ovest, guardato da un possente muro di cinta spesso qualche metro. Di origini antichissime appartenne all'abbazia di San Salvatore Telesino, ma un potente terremoto in epoca aragonese lo distrusse completamente, quindi la cappella del SS Salvatore che è possibile ammirare oggi risale proprio a quel periodo.
Ponte Romano, nella frazione Val d'Assano, risalente forse agli anni immediatamente successivi alla III Guerra Sannitica, dovette servire ai romani a consololidare proprio il loro dominio nella zona. Esso consentiva il superamento di una piccola valle erosiva che raccoglieva le acque piovane che defluivano dal versante occidentale del Monte Maggiore. Sorretto da quattro arcate a tutto sesto, ha una carreggiata variabile tra gli 8.50 e gli 8.70 m di ampiezza, dimensioni davvero notevoli per costruzioni dell'epoca.
Tratti di antica stradina, è possibile incontrare tratti ancora intatti dell'antica strada che da Trebula Baliensis conduceva fino a Teano. È larga circa 1.50 m, lastricata con pietra calcarea e sostenuta a valle e a monte da muri pseudo poligonali anch'essi di pietra calcarea.
Rocchetta e Croce trova sostentamento soprattutto con l'agricoltura e l'allevamento bovino e suino. Negli ultimi anni si discretamente aperta al turismo con visite guidate al borgo e soprattutto ai sentieri montani sul Monte Maggiore. Vi sono anche numerosi ristoranti specializzati in una cucina tipica e genuina. Nella frazione di Val d'Assano sorge il grande stabilimento di imbottigliamento dell'Acqua Santagata che esporta in Italia e nel mondo.

L'altro comune che insieme a Rocchetta e Croce occupa le quote più alte dell'area del Monte Maggiore è Liberi.
Esso è un comune di circa 1100 abitanti sito in una vallata ai piedi del Monte Melito ad un'altitudine media di circa 470 m slm.
Liberi attualmente comprende le frazioni di: Villa, Cese, Profeti, Merangeli ed ha un'economia basata prevalentemente sull'agricoltura e sull'allevamento.
L'attuale nome di Liberi fu assunto dal comune nel 1862, rinunciando al vecchio nome di Schiavi che precedentemente era Sclavia o Villa Scavlia dovuto forse agli slavi venuti dalla Dalmazia che erano coloni nella villa di Cicerone che esisteva nel territorio, oppure ai Longobardi, popolo di origine slava, che nel VI secolo colonizzarono il territorio.
Le origini di Liberi sono comunque legate all'antica città Osco-Sannita prima e Romana poi di Trebula Baleniensis, di cui in località Monticello si possono ancor oggi osservare le mura orientali. E la tanto decantata villa di Cicerone si doveva trovare nel territorio di Liberi, da cui la frazione di Villa prende il nome.
Le prime fonti storiche di Sclavia risalgono all'anno 827 e sono riportate nella Istoria n. 29 dell'Anonimo Cassinese, che cita la venerata Grotta di San Michele sita nella frazione di Profeti. Altre notizie storiche si hanno nell'anno 979, quando l'arcivescovo di Capua nell'atto di consacrazione del nuovo vescovo di Caiazzo, riservò per se e per i suoi discendenti la giurisdizione della Grotta di San Michele, tale era la sua importanza spirituale in quel periodo. Nel 1097 soggiornò nel comune San Anselmo d'Aosta e nel 1737 vi esercitò il suo ufficio Sant'Alfonso dè Liguori che qui compose le Glorie di Maria.
Di grande interesse storico, ambientalistico ed antropologico è senza dubbio la Grotta di San Michele, associata a culto e rituali che si prerpretano sin dalla preistoria. Essa è ricava in una roccia alta circa 40 m situata a nord della frazione di Profeti. Vi si accede tramite un sentiero percorribile a piedi o a cavallo e lungo il quale si incontrano i ruderi di un edificio alto medievale denominato Cella che doveva ospitare i vari eremiti che nel corso dei secoli avevano in cura la grotta.
La grotta è ricca di stalattiti e stalagmiti, che nel tempo hanno assunto varie forme, come serpenti, cavolfiori, conghiglie, chiocciole. Di queste secrezioni naturali alcune hanno assunto un carattere mistico-spirituale, tra cui quello della conghiglia a cui è associato il rito della fertilità. Le donne con problemi di sterilità strofinano il loro ventre contro questa conghiglia e si ritiene che ciò risolva i loro problemi e le renda fertili. Tale rito si perpetua sin dalla preistoria sopravvivendo al cristianesimo e sopravvissuto sino ai giorni nostri.
Altra figura mistica della grotta è quella della cosiddetta Mammella, un escrescenza calcarea a forma di mammella, ritenuta essere quella della Madonna. La superstizione vuole che questa escrescenza non debba essere toccata da nessuna mano, infatti l'altra ad essa vicina più piccola e flaccida si ritiene sia divenuta così perchè toccata dalla mano di un peccatore. Tale mammella stila gocce di acqua che vengono raccolte in una sottostante vaschetta in pietra e si ritiene che tale acqua sia curativa per la vista.
Lo stretto ingresso di un cunicolo ha il potere di restringersi se viene attraversato da Figli illegittimi e donne adultere, rivelando così l'identità peccaminosa dei soggetti.
Un altro rito è associato a un pozzetto posto in prossimità dell'ingresso della grotta, anch'esso contenente acqua stillata dalle roccie, che si ritiene miracolosa, la tradizione vuole che tale acqua possa essere prelevata solo tramite una specie di cucchiaio fatto con corteggia di alberi.
La grotta luogo di culto sin da tempi remoti, fu dedicata al culto di San Michele durante la dominazione Longobarda e la sua importanza fu tale che tra l'892 e l'899 fu dichiarata Basilica dal vescovo di Capua, Landolfo e da quello di Teano, Ilario. Quest'ultimo per esautorare definitivamente i culti pagani che sopravvissero al cristianesimo fece costruire tre altari ed un ciborio. I tre altari sono riconducibili alle tre diocesi di Capua, Teano e Caiazzo ed indicano che vi dovevano essere numerosi celebranti.
La Grotta di San Michele è tutt'oggi luogo di pellegrinaggio, soprattutto l'8 Maggio e il 29 Settembre, quando processioni provenienti da tutta l'area dei Monti Trebulani vi si recano in occasione dei festeggiamenti in onore del Santo.
Altro sito naturale di particolare interesse, è la Fontana Lazzaro, una sorgente naturale che sorge alla base orientale del Monte Friento, in località Costarone. La fontana, di tradizione millenaria, è legata alla Chiesa di S. Giovanni dè Landopoldi di Capua nella quale si svolgevano le funzioni ed i riti di investitura dei Cavalieri di S. Lazzaro che assunsero la difesa di Capua e spesso, per far riposare ed abbeverare i cavalli, sostavano nelle vicinanze della fontana, da cui il nome.
Mura orientali di Trebula site in località Monticello risalenti al periodo Osco-Sannita costituiete da massi ciclopici sovrapposti a secco.
Sito Paleontologico situato lungo la strada che porta alla Grotta di San Michele che ha portato alla luce fossili di pesci risalenti a circa 110 milioni di anni fà, il che fa ritenere che anticamente la zona dell' frazione di Profeti doveva essere occupata da un qualche lago o fosse attraversata da qualche corso d'acqua.
La Cappella dell'Ave Grazia Plena con Romitorio dei Liguorini, fu fatta cotruire nel 1700 da Sant'Alfono dei Liguori, sul sito di un'antica cappella risalente al 1326. La chiesa conserva tutt'oggi la statua della Madonna che ispirò al Santo, Le Glorie di Maria e 5 croci lignee risalenti al 1700.
Di notevole importanza storica è il Pozzo di Sant'Anselmo, risalente al XI secolo.

Scendendo da Liberi verso sud, dopo circa 8 km si giunge a Formicola, piccolo ma grazioso paesino di circa 1500 abitanti sito ad un altitudine media di circa 192 m slm. Il paese è caratterizzato da un pittoresco centro storico testimone del suo antico splendore ed è famosa per la produzione di ciliegie che esporta in Italia e all'estero e di cui ogni anno a metà giugno si tiene una caratteristica e movimentata sagra con degustazione di ciliegie e di altri prodotti della tradizione gastronomica locale.Il comune comprende le quattro frazioni di: Cavallari, Fondola, Lautoni e Medici.
L'attuale centro storico di Formicola deve essersi sviluppato a partire dall'XI secolo intorno all'antico borgo di Maiorano (infatti la strada più della città si chiama proprio Via Maiorano), nato sicuramente dopo la distruzione della vicna Trebula ad opera dei saraceni nel IX secolo.
Il primo atto ufficiale in cui viene citata Formicola risale ad una pergamena del 1240. Nel periodo angioino il feudo du posseduto dalla famiglia Frangipane e successivamente dai Marzano di Sessa, ma il suo maggiore sviluppo la città lo ebbe a partire dal 1465 quando passò alla famiglia Carafa, che la detenne fino al 1806, anno di abolizione del fedualesimo e ne fece la capitale della sua baronia. Si deve infatti alla famiglia Carafa la costruzione del sontuoso Palazzo Baronale, oggi sede della Comunità Montana del Monte Maggiore, la vecchia Chiesa dello Spirito Santo, il convento dei Verginiani, oggi sede municipale. La superba torre merlata, sita nell'attuale piazza e detta appunto Piazza Torre, distrutta nel XVIII secolo e di cui ne esiste una gemella a Pontelatone, fu costruita invece nel periodo angioino.
Nel 1728, Francesco II Carafa, appassionato cultore delle arti e delle lettere, un'accademia dell'associazione culturale Arcadia. Tale accademia fu chiamata Caprario dalle nome del monte alle cui pendici si riunivano i numerosi poeti e letterati che vi aderirono.
Dopo l'abolizione del feudalesimo, nel 1806, e con la creazione delle circoscrizioni, Formicola fu dapprima inglobata nella circoscrizione di Caiazzo, ma dal 1808 formò circoscrizione a se inglobando anche le comunità di Schiavi (oggi Liberi), Sasso (Castel di Sasso), Cisterna, Prea e Baia (appartenete oggi a Baia e Latina). La circoscrizione di Formicola rimase in vigore fino al 1927 quando fu soppressa insieme alla provincia di Terra di Lavoro dal regime fascista.
Gli edifici principali che meritano sicuramente una visita, sono:
Il Palazzo Baronale, edificato nel 1465-67 da Diomede Carafa e ampliato nel XVIII secolo da Francesco II Carafa, è oggi sede della Comunità del Monte Maggiore ed è caratterizzato da un ampio cortile interno e da un grande scalone coperto.
Chiesa di Santa Maria a Castello. Edificata su un altura (355 m slm) nella seconda metà del XII secolo dai monaci verginiani, ha perso quasi del tutto il suo aspetto originario a causa dei numerosi rifacimenti subiti nel corso dei secoli, ma conserva nella sottostante Cappella ipogea di San Nicola importanti affreschi del 1300 di tarda scuola benedettina.
Chiesa di Santa Cristina. Costruita agli inizi del 1700 su un antica chiesa risalente all'anno 1000 e sempre dedicata alla Santa, si presenta come un maestoso edificio a tre navate di stile neoclassico. Conserva un transito di San Giuseppe attribuito a Cesare Fracanzano.
Chiesa dello Spirito Santo. Fatta costruire nel 1760 dall'abate Pascasio Anicio sulla vecchia chiesa fatta edificare nel 1571 dalla duchessa Roberta Carafa, conserva al suo interno la tomba di Giuseppe Carafa, ucciso durante la rivolta di Masaniello, la grande tela che orna il soffitto dipinta da Girolamo Starace e da Antonio Vecchione, tele Verginiane in alcune cappelle laterali, un altare maggiore costruito con marmi pregiati e sul pavimento un'iscrizione genealogica della famiglia Carafa. Per il suo grande valore storico ed artistico, la Chiesa è stata dichiarata monumento nazionale.
Chiesa di San Prisco. Edificata nel IX secolo, a metà strada tra i casali di Lautoni e Medici, è la chiesa più antica della zona ed è attualmente in fase di ristrutturazione.
Chiesa di Santa Maria della Pietà. Edificata nel XV secolo e collegata al Palazzo Baronale tramite un ponte, fu per questo detta Santa Maria del Ponte. È caratterizzata da una struttura architettonica con pianta a croce greca.
Abbazia dei Verginiani. Oggi sede del comune, fu fatta edificare nel 1581 da Roberta Carafa per i monaci verginiani e fu dichiarata abbazia nel 1665.
Notizie e foto sul Formicola oltre che dai siti istituzionali del Comune e della Pro Loco, possono essere attinte dal sito amatoriale: www.formicola.com.

A circa 3 km da Formicola, leggermente più a valle (120 m slm), sorge il suggestivo borgo di Pontelatone, comune di 1810 abitanti, sito su uno sperone roccioso compreso tra due ampi valloni. Il comune oltre il centro di Pontelatone comprende le frazioni di: Casalicchio, Funari, Pellegrino, Savignano e Treglia. Quest'ultima frazione è forse la più importante in quanto situata in prossimità dei resti dell'antica città di Trebula Balliensis, antichissima città di origine Sannitica.
Esistente forse già in epoca romana come sobborgo di Trebula, l'attuale centro di Pontelatone deve essersi sviluppato in epoca Angioina, come testimoniano l'imponente torre cilindrica e i resti delle mura di cinta ancora esistenti.
Dal 1189 al 1262 appartenne alla famiglia Montefuscolo e durante il regno di Carlo II D'Angiò fu feudo della famiglia Rogosia di Dragoni. Nel 1321 quando il feudo apparteneva a Tommaso Marzano, grande ammiraglio del regno, per fronteggiare la crescente minaccia degli aragonesi fu ripreso e fortificato il già preesistente castello di cui oggi resta come testimonianza solo la torre mentre il restante corpo di fabbrica è stato trasformato in campanile e civili abitazioni in cui si possono ancora osservare moltre finestre ogivali. La fortezza, grazie anche alle sue fortificazioni naturali costituite dai due profondi valloni e dalle alte rupi, era talmente inespugnabile che nel 1462 il Re Ferrante d'Aragona che lo assediò perchè l'allora signore di Pontelatone, Marco della Ratta insieme al cugino Marino Marzano, aveva partecipato alla rivolta dei baroni, dovette abbandonare l'impresa e ritirarsi a Capua.
Sconfitto in seguito Marino Marzano, Pontelatone fu affidata a Dionede Carafa già signore di Formicola e da allora il feudo di pontelatone fece parte della baronia di Formicola. Fu sotto la signoria di Diomede Carafa che Pontelatone conobbe i fasti dell'archietettura Catalana di cui restano ampie testimonianze nei palazzi del centro storico. Divenuto marchesato nel 1612, Pontelatone mantenne questo titolo fino al 1806, anno in cui Giuseppe Napoleone abolì il feudalesimo nel regno di Napoli e Pontelatone entrò così a far parte dei comuni del regno.
Come già interessante risulta il centro storico di Pontelatone, racchiuso tra mura, di cui rimangono ancora altri tratti e una delle porte di ingresso situata a nord ovest, a ridosso della quale si trova la Chiesa madre di Santa Maria dell'Orazione, documentata già nel XIV secolo, ma sicuramente di origine più antica come testimoniano l'arco gotico e frammenti di affreschi visibili sul fianco destro della Chiesa. La parte presbiteriale è addossata alle mura del borgo e un pittoresco passaggio sulla porta d'ingresso al paese collega la chiesa alla canonica.
Palazzo Carafa, sito nella piazza antistante la Chiesa, presenta una corte con ampio porticato e una splendida bifora rinascimentale.
Casa Canonica, sita in Via Galpiati, fu dimora preferita dei vescovi di Caiazzo, presenta un bel portale a sesto ribassato.
Palazzo Rotondo, sito anch'esso in Via Galpiati, arricchito nella parte superiore da splendide monofore rinascimentale e con un fregio, con beccatelli che sorreggono archetti acuti, al di sopra del portale.
Palazzo Galpiati, da cui prende il nome l'omonima strada, con una bellissima finestra arciacuta e l'altra rettangolare a croce.
Palazzo Scirocco, sito in Via IV Novembre, con una bifora e un oculo sul prospetto principale di chiaro stile rinascimentale.
Convento dell'Annunziata, posto ai margini dell'abitato, è di origine quattrocentesca presenta anch'esso interessanti elementi rinascimentali come il portale, il chiostro e lo stemma marmoreo dei Della Ratta-Marzano.
Torre Angioina, si presenta con una base tronco conica sulla quale è innestata una struttura cilindrica alla sommità della quale è presente la merlatura caratteristica delle fortificazioni medievali. La torre è alta circa 20 m e presenta all'innesto tra la struttura tronco conica e quella cilindrica una cornice a toro di notevole effetto plastico. Recentemente ristrutturata, la torre presenta il problema di non essere accessibile al pubblico in quanto non presenta ne un accesso dall'esterno ne una scala interna per salire alla sua sommità (cit. Itas Formicola).
Assolutamente da non perdere è il parco archeologico di Trebula Balliensis, sito nei pressi dell'attuale frazione di Treglia.
Le testimonianze più antiche della città risalgono al periodo sannitico con la ricca necropoli portata alla luce alla fine del 1700 dal celebre ammiraglio Hamilton, ambasciatore inglese presso la corte di Napoli dal 1764 al 1800. I corredi funebri conservati oggi presso il British Museum di Londra sono ascrivibili alla seconda metà del V secolo ac.
Le recenti campagne di scavo condotte sottoforma di volontariato (questo ci fa capire come siamo messi a livello istituzionale per quanto riguarda la valorizzazione dei beni culturali) dal Gruppo Archeologico Trebula Balliensis hanno portato alla luce le terme romane e un imponente circuito murario, lungo oltre 2,5 km in cui si apre un imponente Porta Megalitica profonda 4,30 m e alta 5 che può essere considerata la più grande mai rinvenuta in Europa.
Gli scavi sono solo parziali il che fa capire le grandi potenzialità di questo sito, che per l'eccezionale livello di conservazione è stato definito la Pompei dei Sanniti, ma sul quale ovviamente le autorità competenti sia locali che nazionali si guardano bene dall'intervenire.
Il Gruppo Archeologico Trebula Balliensins, (sul cui sito potete trovare tutte le informazioni riguardanti Trebula e il suo sito archeologico) è un chiaro esempio di senbilità culturale e di amore per il proprio territorio che tutti noi dovremmo avere se vogliamo valorizzare gli immensi tesori, artistici, architettonici e culturali che posseggono quasi tutte le nostre città. Ma immagino che nonostante i loro servizi (a titolo completamente gratutito) per la comunità devono anche scontrarsi continuamente con le istituzioni e con la buracrazia che ostacoleranno in tutti i modi il loro prezioso operato (questa considerazione non è basata su nessun dato di fatto, ma conoscendo come funzionano le cose in Italia è solo una semplice intuizione).

Poco più a valle di Pontelatone sorge il comune di Castel di Sasso, costituito da una moltitudine di piccoli borghetti e casolari sparsi in un scenario di grande interesse paesaggistico e naturalistico.
Il comune che conta circa 1200 abitanti è costituito dalle frazioni di: Sasso, Prea, Strangolagalli, San Marco, Arbusto, Buononimi, Espignole, Ferrucci, Maranisi, Morrone, Cisterna, Vallata, sparse in un territorio di circa 21 kmq, che spazia da un'altitudine che va da poche decine di metri slm a più di 400 m. Tra le frazioni più suggestive c'è Sasso, che è stato il nome del comune fino al 1863, quando con reggio decreto fu rinomitata Castel di Sasso. Questa frazione prende il nome da saxum (rupe) perchè è ubicata su uno sperone roccioso di circa 400 metri di altezza la cui parte occidentale scende a strapiombo nella vallate sottostante. Dal piccolo borgo di soli 54 abitanti è possibile godere di un panorama mozzafiato sulla vallata sottostante, sulla sua natura rigogliosa con i suoi uliveti, i suoi verdi pascoli, i suoi boschi incontaminati, sui suoi borghi e suoi casolari.
Le attività principali dei suoi abitanti sono soprattutto l'agricoltura e l'allevamento ricavando prodotti di eccellenza come l'ottimo olio extra vergine di oliva e il famoso conciato romano, un formaggio fatto con latte di pecora e di capra di antichissima origine (forse risalente agli antichi sanniti), di cui si era quasi persa la tradizione, ma che grazie alla caparbietà di alcuni produttori è stata ripresa e oggi costituisce un'eccellenza nel già ricco panorama enogastronomico locale.
Le alture circostanti sono ricche di vigneti dai quali si produce vino Pallagrello e Casavecchia anche questi due antichissimi vini molto famosi già all'epoca dei romani.
La storia fa risalire le origini del paese ad epoca romana o addirittura sannitica, quando lo sperone roccioso che occupa ora il borgo di Sasso doveva essere occupato dagli avamposti fortificati dell'antica Trebula.
Le prime notizie storiche risalgono al 554 d.c quando nel territorio di Castel di Sasso fu combattuta una sanguinosa battaglia tra Franchi e Bizantini e di 30.000 Franchi se ne salvarono solo 5. Da questo episodio prende il nome la frazione Strangolagalli, infatti in questo luogo dovette avvenire la strage dei Franchi che all'epoca erano ancora chiamati "Galli".
Il territorio poi passò sotto il dominio dei Longobardi e proprio a quell'epoca deve risalire la costruzione del castello di cui ancora oggi, nella frazione di Sasso, è possibile ammirare i ruderi. La leggenda vuole che il castello fu fatto costruire da un nobile Longobardo di nome Gionata che innamoratosi di una delle fanciulle fuggite dal rocca di Rocchetta e Croce, dove erano tenute prigioniere dai saraceni, la sposò e fece costruire un imponente castello come loro dimora.
Nel XII secolo il feudo appartenne alla famiglia Montefusco, per passare poi tra i possedimenti della vicina Dragoni e nella prima metà del trecento appartenne ai Conti di Squille. Nel 1465 fu inserita da Ferrante d'Aragona tra i possedimenti della Baronia di Formicola e di questa seguì le sorti fino al 1806, anno di abolizione della feudalità.
Oltre al suggestivo ed incantevole panorama, da vedere a Castel di Sasso c'è:
Ruderi del Castello Medievale, costruito probabilmente nell VIII secolo dai duchi Longobardi di Benevento.
Torre Medievale, costruita probabilmente nello stesso periodo del castello.
Chiesa di San Pietro, oggi quasi diroccata, esisteva già nel X secolo, conserva i resti di pregevoli affreschi di fattura Bizantina.
Antica Fontana, posta tra i borghi di Vallata e Morrone, possiede anche un lavatoio che una volta veniva usato sia per lavare la biancheria che come abbeveratoio.
Sito Archeologico in località Pisciariello, dove nel 1977 furono ritrovati due sarcofagi di pregevole fattura, conservati oggi nel museo di Santa Maria Capuavetere.
Borgo di Vallata, oggi quasi completamente disabitato, rappresenta un chiaro esempio di Borgo Rurale di impostazione urbanistica risalente probabilmente al Medio Evo. Esso rappresenta anche uno dei pochi esempi dove l'opera dell'uomo si integra alla perfezione con la natura. Le case fatte in pietra sono poste ai margini di due ripide stradine ed adagiate direttamente alla roccia. Interessante la Casa dei Carafa di Colubrano, datata 1538, con una caratteristica torre colombaia, a testimonianza dell'uso dei piccioni viaggiatori come mezzo di comunicazione dei tempi passati. Interessante anche l'ex Casa Simeone, databile intorno 1700, esempio tipico di architettura rurale, con la sua stalla con mangiatoia, cucina, forno a legna con annessa fornace a legna ed altre camere.
Il Borgo di Vallata oggi è stato completamente ristrutturato ed il comune sta cercando una collacazione turistica organizzando campi estivi, dove è possibile rigenerarsi dallo stress della vita quotidiana e rallentare per un pò la corsa delle lancette dell'orologio riportandole a ritmi più tranquilli e naturali. Se guardate questo video sul Campo Estivo Giugno 2012, forse anche a voi verrà la voglia di trascorrere una settimana all'insegna del relax, del calore umano e della riscoperta della vita semplice e tranquilla di una volta.

A sud di Castel di Sasso, ai piedi del Monte Santa Croce sorge il comune di Piana di Monte Verna.
Il comune conta circa 2500 abitanti ed è ubicato, a parte la frazione di Villa Santa Croce, essenzialmente in pianura, in una fertile vallata che va dalle pendici dei Monti Trebulani alle anse del Fiume Volturno. Fanno parte del comune, oltre il centro di Piana di Monte Verna, anche le frazioni di: Villa Santa Croce, Villanuova, Fagianeria, Castello, Scalzatoio, Marano e Capitolo.
Grazie alla fertilità del terreno, dovuta sia alla posizione pianeggiante, sia alla vicinanza del Fiume Volturno, la popolazione è dedita essenzialmente all'agricoltura, coltivando ortaggi, frutta, frumento e foraggio nelle zone pianeggianti e olivi e viti sulle alture. Essa è nota soprattutto per la produzione di olio di oliva, infatti fa parte dell'Associazione Nazionale Città dell'Olio. L'industria vede il suo polo nel settore lattiero caseario grazie alla presenza nel suo territorio di numerosi caseifici a conduzione familiare e dello Stabilimento Cirio di Faganeria, che è forse il più importante del meridione per quanto riguarda la produzione del latte.
Come testimoniano i resti delle fortificazioni ancora visibili sulle cime del Monte Santa Croce, Monte Cognòlo, Monte Caruso e Monte Pizzòla, il territorio era già frequentato in epoca Sannitica e doveva far parte ci una sistema di fortificazioni a sostegno delle vicine città di Caiatia, Trebula e Compulteria. In particolare la grandezza e imponenza del sito di Monte Santa Croce, unitamente al ritrovamento di tegole e altri oggetti di uso quotidiano fanno pensare alla presenza di case all'interno della fortificazione e quindi all'esistenza di una città, o di un villaggio fortificato, che qualcuno ha ipotizzato potrebbe essere l'antica città sannitica di Austicula, città citata da Livio durante il suo racconto delle guerre sannitiche, in quanto conquistata da Fabio Massimo insieme a Trebula e Compulteria, ma che non ancora è stata localizzata.
Per quanto riguarda il periodo romano, il ritrovamento di resti di una villa romana appartenuta alla famiglia Marciano, presso l'attuale Chiesa di Santa Maria detta appunto a Marciano e di un'altra villa poco distante, fanno supporre che il territorio fosse sede di ville rustiche o residenziali appartenenti alle ricche famiglie gentilizie dell'antica città di Caiatia (Caiazzo).
Tuttavia le prime notizie storiche sull'attuale centro di Piana e sulle sue frazioni risalgono al medioevo e sono tutte di natura ecclesiastica. Tali documenti fanno risalire all'arco di tempo che va tra il 979 e 981 la costruzione dovuta all'allora principe di Benevento e Conte di Capua, Pandolfo, del Monastero Benedettino di Monte Santa Croce, di cui ancora oggi si possono ammirare i ruderi e quindi poco dopo deve essersi sviluppata l'attuale frazione di Villa Santa Croce, sita per l''appunto vicino al convento. Analogamente le bolle dei Vescovi di Capua e di Caiazzo fanno risalire la nascita del villaggio di Piana di Caiazzo, come veniva chiamata Piana di Monteverna fino al 1976, ad un periodo che va tra l'XI e il XIII secolo, in quanto in una bolla del X secolo del Arcivescovo di Capua, Gerberto, che elencava al Vescovo di Caiazzo le chiese esistenti nei villaggi intorno Caiazzo, non viene fatta alcuna menzione su qualche villaggio, o chiesa esistente nel territorio di Piana, mentre in un'altra del 1256 si parla di una terra sita "alla Piana, sotto la Chiesa di S. Andrea di Polizzano.".
Le altre notizie storiche riguardanti Piana sono sempre di carattere Ecclesiastico e riguardano sempre l'esistenza o la costruzione di Chiese, il che fa presupporre Piana e le sue frazioni siano state fino al 1807, anno di nascita del comune, sobborghi della città di Caiazzo.
Di grande interesse storico e artistico è la Chiesa di Santa Maria a Marciano, sorta dopo l'anno 1000 sui resti dell'antica villa romana dei Marciano, come testimonia un cippo sepolcrale inglobato nel muro laterale della Chiesa che attualmente si affaccia nel cimitero comunale. La Chiesa fu rifatta nel 1330 nelle tipiche forme gotiche dell'epoca. Recentemente ristrutturata, conserva importanti affreschi del 1300 e 1400.
La Cappella di Santa Maria delle Grazie, che conserva affreschi cinquecenteschi.
Parrocchiale di Villa Santa Croce, che ospita sculture forse provenienti dalla vicina Badia Benedettina.
Chiesa Madre dello Spirito Santa, costruita nel XVII secolo in stile barocco è caratterizzata da una pianta a croce latina con navata unica. Sui due lati della navata si aprono quattro cappelle laterali tra le quali spicca quella ottocentesca dedicata a San Rocco, patrono della città, il cui soffitto e abbellito con affreschi narranti la vita del santo e che conserva una statua lignea di S. Rocco risalente al 1855, dello scultore napoletano Giuseppe Savaglios. Caratteristica è anche la Cappella di San Giuseppe, che conserva una statua del santo risalente al XVII secolo. L'altare maggiore conserva una statua della dell'Immacolata Concezione, risalente al XVIII secolo e alla quale la popolazione è particolarmente devota.
Monastero Benedettino di Monte Santa Croce, edificato come già detto tra il 979 e 982 e di cui oggi rimangono solo i ruderi. L'ultima campagna di scavi (2012/2013), ha portato alla luce resti di affreschi e tre absidi di grande interesse archeologico. Sono state inoltre anche ritrovate una trentina di monete di epoca medievale e una scala che porta ad una cripta posta nel sottosuolo del complesso in cui sono stati rinvenuti i resti di un frate.
Nel comune si pratica inoltre il volo ultraleggero con deltaplano a motore grazie al Campo di Volo situato a sud del paese.

Caiazzo. Si trova a circa 3 km da Piana di Monte Verna, su un colle che rappresenta l'estrema propaggine sud orientale della catena dei Trebulani. È ubicato all'incrocio tra le valli del basso e del medio Volturno e a confine tra la provincia di Caserta e quella di Benevento.
Caiazzo conta circa 5900 abitanti, distribuiti tra il centro e le frazioni di San Giovanni e Paolo, Cesariello, Cesarano, Bosco di Caiazzo, Cameralonga, San Pietro, Ortola, Papari e Cesine.
L'attività economica trainante rimane ancora oggi l'agricoltura ed eccelle soprattutto nella coltivazione dell'olivo, con una specie autoctona, detta appunto Oliva Caiatina, dal quale si estrae un ottimo olio di oliva e sono anche ottime come olive da tavola. Il comune di Caiazzo aderisce all'Associazione Nazionale Città dell'Olio. e il suo olio ha ottenuto recentemente il riconoscimento DOP.
L'amenità, la fertilità del terreno, nonchè la posizione dominante sulle valli del Medio e Basso Volturno, fecerò si che il sito dell'attuale Caiazzo fosse abitata fin da tempi remoti. La testimonzia più antica della presenza umana è quella delle mura megalitiche poligonali nei pressi del castello risalenti al IX, VIII secolo a.c e dovute sicuramente agli Osci denominati in seguito Sanniti, ma ciò non esclude che il sito fosse frequentato da tempi ancora più lontani.
L'antica città Sannita aveva il nome di Caiatia (da non confondere con Calatia, presso l'odierna Maddaloni) e fu conquistata durante la seconda guerra Sannitica dal console romano Giunio Bubulco. Durante il lungo periodo di dominazione romana la città si spostò più a valle ed era attraversata da un decumano sul quale si affacciano quattordici cardini, o traverse. Da iscrizioni rinvenute nella zona si ha notizia che nel foro della città, un certo Marco Gavio fece edificare dei parapetti di sostegno.
Nel 90 a.c fu saccheggiata da Silla perchè si era schierata con gli italici nella guerra sociale, ma fu proprio dopo questa guerra che fu emanato il diritto di cittadinanza per tutti gli italici a sud del Po, quindi anche i Caiatini ebbero la cittadinanza romana, la città diventò municipio ed ebbe la possibilità di coniare moneta propria.
La tradizione vuole che sia stata patria di quel console Aulo Attilio Caiatino che nel 254 a.c. conquistò Palermo e che divenne dittatore nel 249, ma studi recenti hanno screditato questa tesi e si ritiene che egli abbia solo avuto dei possedimenti a Caiazzo.
Del periodo romano restano scarsi resti urbanistici, o perchè l'antica città poteva essere ubicata al di sotto della attuale, oppure perchè non sono mai state effettuate campagni di scavo sistematiche, ma restano numerose pietre sepolcrali innegianti alla famiglia imperiale Giulia.
Fu sede vescovile da tempi remoti e lo è tutt'oggi, insieme alla vicina Alife, formando così la Diocesi Alife-Caiazzo, con sede ad Alife.
Nel periodo Longobardo fu gastaldato della città di Capua e quando quest'ultima fu eletta principato, Caiazzo diventò Contea.
Nel 979 fu eletto Vescovo di Caiazzo Stefano Minicillo, che amministrò la diocesi per ben 44 anni e nominato Santo dopo la morte (avvenuta nel 1023) diventò patrono della città e della diocesi.
Caiazzo fu contea anche nel periodo Normanno e nel periodo Svevo vide l'intervento diretto di Federico II che la liberò dalle truppe pontifice che l'avevano occupata, cacciò e ne nominò uno di sua fiducia e soggiornò per un certo periodo nel castello.
Il periodo di massimo splendore, la città, lo conobbe nel XV secolo durante la dominazione Aragonese. Sembra infatti che il Re Alfonso V innamorato del luogo perchè vi era stato Vescovo San Ferdinando d'Aragona, nel 1455 donò il feudo di Caiazzo alla sua favorita Lucrezia d'Alagno, figlia di Cola d'Alagno signore di Torre Annunziata. Fu tale l'influenza di questa donna sul sovrano da essere considerata la vera regina di Napoli, fino al punto da arrivare a chiedere l'annullamento del matrimonio del re al papa, annullamento che il papa non concesse. Il Re concesse alla donna feudi e castelli, tra i quali quello di Caiazzo e fu la che ella scelse di vivere. Durante il suo soggiorno a Caiazzo riceveva spesso la visita del Re e fu durante questo periodo che molti artigiani catalani si trasferirono nella città che impressero la loro caratteristica impronta agli edifici della città, impronta che è ancora oggi visibile in alcuni portali del centro storico. Dopo la morte di Alfonso, Lucrezia fu invisa al suo successore e fu costretta ad abbandonare il regno per trasferirsi a Roma, dove morì nel 1479.
Nel 1860 Caiazzo fu sede di una storica battaglia tra Garabaldini e Borbonici, che vide questi ultimi come vincitori.
Nel 1943 si trovò al centro degli scontri tra truppe alleate e tedesche nella battaglia del Volturno. Subì numerosi bombardamenti in cui persero la vita molti cittadini e vide la distruzione di molti dei suoi edifici, ma l'episodio più tragico avvenne nella notte tra il 13 e 14 ottobre quando 22 persone, tra cui anche donne e bambini, furano barbaramente fucilati dai nazisti per vendicare l'uccisione di un soldato tedesco. Da ultimo anche la beffa, quando il 27 gennaio (quando ormai i tedeschi erano stati cacciati da tempo e il fronte si era spostato più a nord), aerei americani bombardarono per errore la città provocando la morte di altre 17 persone.
Dopo Capua, Caiazzo fu la città più importante della zona e fu centro di riferimento per tutti i borghi e villaggi esistenti nell'area sud-est dei Monti Trebulani. Per convincersi di ciò basta guardare questo grafico, riportante i risultati dei censimenti della popolazione dall'unità d'Italia ad oggi e notare che nel 1861 aveva circa un centinaio di abitanti in più rispetto ad oggi.
Del suo illustre passato, Caiazzo conserva numerose ed importanti testimonianze come si può notare passeggiando per il suo caratteristico Centro Storico, che nonostante gli sconvolgimenti subiti alla fine del 1800 quando furono abbattute le porte di accesso alla città e alla distruzione di numerosi edifici avvenuti durante l'ultimo conflitto mondiale, si presenta con un impianto tipico medievale e rinascimentale, con stradine strette e scalinate che confluiscono in ampie piazze incorniciate da maestose chiese ed eleganti palazzi sui quali si possono ancora notare i portali in pietra e tufo lavorati a mano di chiaro stile durazzesco e catalano. Le piazze principali di Caiazzo sono due: Piazza Portovetere, dove vi sono i giardini pubblici, e Piazza Giuseppe Verdi su cui si affacciano il palazzo vescovile e la Cattedrale.
Tra gli edifici più significativi possiamo senza dubbio porre:
Cattedrale di Maria SS Assunta, costruita forse sui resti di un antico tempio pagano, deve avere origini molto antiche essendo stata la sede vescovile dell'antichissima Diocesi di Caiazzo che deve essere nata alle origini della cristianità.
I rifacimenti e ristrutturazioni subiti nel corso dei secoli hanno fatto si che essa oggi si presenta con una struttura di chiaro aspetto settecentesco, con una facciata che si sviluppa su un piano inferiore con due portali corrispondenti a due delle tre navate interne con lo stemma vescovile che primeggia sulla sommità del portale principale, e su un piano superiore sopraelevato in corrispondenza della navata centrale, che si raccorda con le laterali a mezzo di grosse volute, con un grosso finestrone centrale con occhio sovrastante.
L'interno, con pianta a croce latina, si sviluppa su tre navate, di cui quella centrale con volta a botte e le due laterali più strette con volta a crociera, sulle quali sono inserite numerose cappelle.
In essa si conserva l'altare maggiore ricco di marmi di stile barocco e un coro ligneo del 700 che si presenta in ottime condizioni.
Di grande interesse artistico sono le cappelle di Santo Stefano e San Giuseppe. Nella prima si conservano le reliquie di Santo Stefano e San Ferdinando entrambi vescovi di Caiazzo e due loro busti in argento realizzati verso la fine del 600 dallo scultore napoletano Aniello Treglia e il figlio Matteo. Sull'altare della cappella campeggia un dipinto realizzato dall'artista di padre caiatino e mamma napoletana, Carlo Ferrazzano, risalente all fine del 700-inizio 800, che rappresenta Santo Stefano che protegge Caiazzo.
La cappella di San Giuseppe è la più antica della chiesa e conserva la sua originaria pavimentazione in maiolica accompagnata da straordinari stalli lignei anch'essi orginari. Essa conserva un ovale in tela sul quale è raffigurato lo sposalizio della Madonna.
All'interno della Cattedrale si conservano inolte numerosi dipinti di grande valore artistico, tra i quali quello dell'altare maggiore raffigurante l'Assunzione della Vergine, realizzato da Leonardo Antonio Olivieri, artista di origine pugliese, allievo di Francesco Solimena.
, un dipinto di autore ignoto risalente alla XVI secolo in cui e rappresentata la resurrezione, con un Cristo che abbraccia la croce ed il sangue che sgorga da una ferita sul petto e viene raccolto in una vascehtta in cui sono immersi anche i piedi del Cristo e poi zampilla all'esterno da dei fori laterali. L'iconografia piuttosto particolare e rara è di chiaro stampo controriformista. Alcuni studiosi lo attribuiscono a Vincenzo Severino.
Per visualizzare tutte le opere conservate nella cattedrale potete visitare il sito della Diocesi di Alife-Caiazzo, in cui sono anche riportate alcune immagini.
Molto caratteristico è il Campanile, che nell'iconografia è un pò il simbolo della città. Fu rifatto nel 1830, dopo che un violento terremoto distrusse completamente l'originario campaniel cinquecentesco. È dotato di quattro campane risalenti XVI e al XVII secolo.
Chiesa e Convento di San Francesco. Attualmente il convento è sede degli uffici comunali mentre la chiesa conserva poche tracce dell'antica edificazione. La tradizione narra che fu fatta costruire dallo stesso San Francesco, ma non vi sono notizie storiche riguardo la sua origine il più antico documento in cui viene menzionata la struttura è una pergamena del 1312.
Nella Chiesa sono comunque conservati due quadri dell'altare di destra che rappresentano gli Stemmi delle famiglie Fortebraccio e Manselli, una tavola dell'artista siciliano: Giovan Bernardino Azzolino, raffigurante la Pentecoste e databile tra il 1592 e il 1609. Si conservano inoltre altri pregevoli dipinti come una Vergine con Bambino e un San Domenico e San Gerolamo dell'artista napoletano Fabrizio Santafede, databile intorno al 1588.
Attualmente sia la chiesa che il convento sono in fase di ristrutturazione.
Chiesa di Santa Apollonia. Esistente già nel 1500, nel 1766 il vescovo Piperni vi istituì la confraternita di Santa Apollonia, da cui la chiesa prende il nome. Come confraternita divenne il luogo dove spesso si seppellivano i morti, soprattutto i religiosi. È stata ristrutturata nel 2009 e riaperta al culto il 9 febbraio 2011 (giorno in cui si festeggia Santa Apollonia), dopo più di 20 anni di chiusura.
Cappella di S.Agnese o degli Egizi. Edificata forse nel XII secolo insieme all'omonimo palazzo, è già citata in una pergamena del 1229. Conserva oltre al magnifico portale e gli stemmi della famiglia degli egizi e di altre nobili famiglie dell'epoca, importanti affreschi del XV e XVI secolo. Di particolare interesse sono il quadro sull'altare maggiore raffigurante Santa Agnese e realizzato da Carlo Ferrazzano nel XVIII secolo e il dipinto sulla parete sovrastante il sarcofago di Leonardo Egizi raffigurante una Madonna con Bambino attribuito a Fancesco Cicino, pittore caiatino del XV secolo.
Chiesa dell'Annunziata. Realizzata su una precedente struttura del XIV secolo, come testimoniato dalla sovrapposizione di due archi di stile differente presenti nella muratura adiacente Via Aulo Attilio Caiatino, essa esisteva già nel XV secolo, ma fu radicalmente trasformata tra il 1740 e il 1768. Conserva una facciata di forme rinascimentali con un importante portale minuziosamente scolpito. Un Dipinto dell'Annunciazione di Francesco La Mura, pittore napoletano del XVII secolo, allievo di Francesco Solimena. Durante i lavori di ristrutturazione attualmente in corso sono stati rinvenuti resti di un dipinto murale raffigurante la Madonna con Bambino forse risalenti al XV secolo.
Ospedale dell'Annunziata. Oggi in disuso in quanto gravemente danneggiato dal terremoto del 1930 e dagli eventi bellici del 1943, esisteva già nel 1344 come si può desumere da una pergamena dell'epoca. Si può osservare all 'ingresso, la cosiddetta Ruota degli Esposti, un manufatto circolare in legno nel quale si potevano abbandonare i neonati non desiderati.
Chiesa di San Nicola de Figulis. La chiesa è dedicata a San Nicola di Bari e l'appellativo "figulis", che in latino significa "vasaio", deve derivare dal fatto che la maggior parte dei fedeli della sua parrocchia dovevano fare come lavoro i vasai. Fu ricavata verso la fine del XVII secolo come adattamento dell'antica chiesa della Madonna della Portanza, antichissima chiesa dedicata alla Madonna del Rosario.
La chiesa si presenta con una sobria facciata settecentesca, che presenta un importante portale in pietra lavorata. L'interno si presenta ad una sola navata con volte a botte, dalla quale si sviluppano nomerose cappelle laterali. Interessanti due dei tre altari realizzati con bellissimi marmi policromi.
Palazzo Savastano. Costruito probabilmente intorno al 1600 dalla famiglia Fortebraccio ed appartenuto poi ai Mordente, ai De Simone, ai De Pretis ed infine agli attuali proprietari Savastano, che si occuparono di restaurarlo dopo gli incendi subiti durante gli evanti bellici del 43 e ne hanno fatto una struttura per accogliere ricevimenti.
Si presenta con una facciata tardo barocca in cui è inserito un maestoso portone contornato da locali che un tempo fungevano da botteghe e che ancora oggi sono destinati ad uso commerciale. Al piano nobile presenta sette finestre incorniciate con stucchi mistilinei e sormonate ciscuna da un busto allegorico raffigurante i giorni della settimana.
Di grande interesse è il cortile interno, incentrato sulle scenografiche scale che conducono ai piano superiori, la cui parete di ingresso è dominata dal grande stemma in stucco della famiglia De Pretis.
Il piano nobile è caratterizzato da un grande salone affrescato, nelle cui volte sono presenti stucchi e gli stemmi nobiliari delle famiglie che vi hanno abitato. La sala da pranzo è decorata con affreschi di Vincenzo Severino, pittore caiatino del XIX secolo.
Interessanti dal punto di vista storico sono le cucine che conservano oltre all'antica struttura, le maioliche originali del 700.
Palazzo Mazziotti. Nonostante i numerosi rifacimenti subiti nel corso dei secoli si presenta come un maestoso palazzo del 400. Edificato nel XV secolo dal vescovo Giuliano Mirto Frangipane passò in seguito alla famiglia Mazziotti da cui prende il nome.
Interessante dal punto di vista storico e architettonico in quanto in esso è evidenziata la stratificazione storica della città. Infatti in occasione del restauro del 1999 sono stati portati alla luce resti risalenti al periodo Sannita, Romano, Medievale, Rinascimentale e Barocco. Al pian terreno dove si accede attraverso un androne in cui è murata una lapide dedicata a Giuliano Mirto Frangipane datata 1492, sono ben visibili la cisterna ed i vecchi locali, una volta adibiti a stalla. Il secondo piano è caratterizzato da una splendida loggia rinascimentale.
La struttura oggi è di proprietà del comune ed ospita la Biblioteca Comunale.
Palazzo Santoro. Costruito nel XIV secolo dalla famiglia Marocco, oggi appartiene ai Santoro che lo hanno restaurato dopo il terremoto del 1980. Si presenta con forme tipiche barocche.
Palazzo Puorto. Palazzo quattrocentesco costruito durante la dominazione aragonese, da artigiani catalani. Conserva uno splendido portale catalano in piperno nero.
Palazzo degli Egizi. Costruito nel XII secolo dalla famiglia degli Egizi, è oggi sede della scuola elementare.
Castello delle femmine. Si tratta dei resti di una costruzione medievale sita in località Pozzilli e già citata in una pergamena del 1119 come Castrum Feminarum. La tradizione popolare vuole che fosse una sorta di scuola per aspiranti cortigiane che le addestrasse all'arte dell'amore e del buon comportamento, così da essere poi accolte nelle corti della zona (scuola alquanto inconsueta nel Medio Evo).
Museo Kere. Istituito nel 1997 nei suggestivi ambienti dell'ex parlatorio del Conservatorio dei Vergini, fondato nel XVII secolo, è il Museo delle Tradizioni Popolari e della Civiltà Contadina.
Conserva strumenti di uso domestico, artigianale e per il lavoro nei campi usati in passato e ricostruisce intere botteghe artigianali e ambienti domestici di qualche secolo fà.
Il Castello. È ubicato fuori dal centro abitato, nella parte più alta della collina, a circa 250 m di altezza, in una posizione dominante sul centro abitato e sul territorio circostante.
Costruito verso la seconda metà del IX secolo dai conti Longobardi che possedevano il feudo è stato posseduto dalle vari feudatari del luogo, fino ad arrivare agli ultimi signori i Corsi di Firenze che lo detennero fino all'abolizione della feudalità. Perduti infatti gli antichi privilegi feudali, i Corsi nel 1836 lo vendettero per 150.000 ducati alla famiglia De Angelis, che ne sono tuttora i proprietari.
Vi hanno soggiornato l'imperatore Federico II, quando al ritorno dalle crociate lo liberò dalle truppe pontifice che lo avevano occupato e il sovrano Aragonese Alfonso V quando si incontrava con la sua favorita Lucrezia d'Alagno, a cui egli stesso aveva donato il feudo di Caiazzo.
Dell'originario aspetto Medievale il castello conserva ben poco in quanto più volte ristrutturato per renderlo più confortevole a chi lo abitava, quindi oggi si presenta più come residenza signorile che come fortezza medievale.
Esso si presenta di forma quadrangolare con mura prive di merlatura e rinforzate da tre torri tonde e una quadrata.
L'accesso situato nei pressi della torre quadrata, immette in un ampio cortile sul quale si affacciano i vari corpi di fabbrica. Alla sinistra dell'ingresso vi è la cappella fatta edificare nel 1116 dal conte Roberto, ma radicalmente trasformata nel 1832, dal Marchese Amerigo Corsi. Essa conserva l'antico pavimento ad intarsio marmoreo in corrispondenza dell'altare.
Vicino alla cappella vi è un grande salone dal quale si può accedere alle molte sale del castello. Le sale a questo livello assumono tutte l'aspetto conferitogli durante l'ultima ristrutturazione del 1832, mentre molto più suggestivi risultano gli ambienti del piano sottostante adibiti prevalentemente a deposito e locali di servizio. Essi infatti sono caratterizzati da volte ogivali in tufo grigio, tipiche degli ambienti medievali.
Caiazzo ultimamente sta mostrando una certa vocazione al turismo soprattutto quello enogastronomico con la presenza di numerosi ristoranti ed agriturismi che tendono a volorizzare, soprattutto, i piatti e le tradizioni tipiche locali.
Da alcuni anni la pro loco di Caiazzo, in collaborazione con le altre pro loco del circondario, organizza il concorso I piatti tipici del Medio Volturno, che tende a valorizzare le tipicità enogastronomiche del luogo. Al concorso partecipano molti ristoranti e agriturismi sia di Caiazzo che dei comuni circostanti.
Caiazzo fa anche parte dell associazione internazionale Città Slow (Città del buon vivere), di cui il proprio vicesindaco, Tommaso Sgueglia, è attualmente coordinatore nazionale per l'Italia.

Alvignano. Si trova a circa 10 km a nord di Caiazzo, sul versante orientale dei Monti Trebulani, nella fertile valle del Medio Volturno, di fronte all'imponente Massiccio del Matese.
Il comune conta circa 5000 anime dedite essenzialmente all'agricoltura, allevamento, artigianato e solo ultimamente si sta sfruttando la vocazione turistica del territorio grazie alla nascita di numerosi ristoranti e agriturismi che tendono a promuovere i piatti tipici della tradizione culinaria locale.
La popolazioni e distribuita tra il capoluogo di Alvignano, dove si concentra la maggior parte della popolazione e le frazioni di Marcianofreddo, Rasignano, San Mauro, oggi quasi completamente disabitate, o popolate quasi esclusivamente da vecchi.
La città trae le sue origini dall'antica Cubulteria, città prima Sannita e poi passata, come tutte le altre città della zona, sotto il dominio di Roma.
In epoca imperiale era procuratore a Roma di Cubulteria e Alife un certo Marco Aulio Albino, che possedeva in città anche una villa, detta appunto Villa Albiniani, da cui sarebbe derivato l'attuale toponimo di Alvignano.
Purtroppo dopo la caduta dell'impero romano seguì un lungo periodo e di buio e di terrore, in cui si era più intenti a salvare la vita dalla fame e dalle scorribande delle orde barbariche che scorazzavano per le campagne e per le città, che trascrivere gli avvenimenti storici, quindi di Cobulteria, come della maggior parte delle altre città romane della zona (vedi Trebula, Cales, Sinuessa etc) non ci è dato sapere come siano finite. La storiografia in mancanza di fonti attendibili tende ad attribuire ai Saraceni, che stanziatisi nel IX secolo alla foce del Garigliano martoriavano con le loro razzie le città della costa e dell'entroterra (fino ad arrivare a distruggere l'antica e gloriosa Capua), la fine di Cubulteria e delle altre ricche città romane della provincia, ma è da ritenersi probabile che la maggior parte di essere furono abbandonate spontaneamente dalle popolazioni, in quanto le città attiravano di più le orde barbariche che prima dei Saraceni scorazzavano indisturbate per la nostra penisola, razziando e distruggendo tutto ciò che attirasse la loro attenzione, oppure molte di esse può darsi furono già distrutte durante la lunga e sanguinosa Guerra Gotica tra gli Ostrogoti e i Bizantini che si protrasse per più per circa venti anni ed ebbe come teatri di battaglia proprio le nostre contrade.
Unico dato certo è che la maggior parte delle città dopo la caduta dell'impero romano (o perchè distrutte, o perchè abbandonate spontaneamente), furono abbandonate dalle loro popolazioni, che si disperse nel territorio circostante creando piccoli villagi o borghi in luoghi più difendibili ed inaccessibili che scoraggiassero gli eventuali potenziali assalitori. A tale sorte non i sottrasse neanche Cubulteria i cui abitanti si dispersero tra le alture e i boschi circostanti dando vita a villaggi che poi sviluppandosi e accorpandosi hanno dato vita ai comuni di Alvignano e Dragoni, mentre i villaggi più isolati sono rimasti tali come le farzioni di Marcianofredda e San Mauro del comune di Alvignano.
Fu sede vescovile fino al VII secolo, privilegio che perse nel periodo Longobardo in quanto vi erano altre sedi vescovili vicine, come Alife e Caiazzo.
Seguì la sorte di tutte le altre città del meridione, passando prima sotto il domino Normanno, e forse in tale periodo fu edificato il primo nucleo dell'attuale castello, poi degli Svevi, Angioini, Aragonesi e Spagnoli.
Nel corso dei secoli il feudo fu posseduto da numerose ed importanti famiglie della zona come gli Ostiglia, i De Clavellis ed infine i Gaetani che la detennero fino al 1806 anno di eversione dalle servitù feudali.
Durante l'ultimo conflitto mondiale e precisamente dopo l'8 Settembre 1943 e fino al 18 Ottobre, Alvignano fu sede del comando tedesco e per questo subì numerosi bombardamenti alleati che causarono la distruzione di gran parte degli edifici e la perdita di numerose vite umane. Ai bombardamenti alleati si aggiungono le distruzioni delle abitazioni da parte dei tedeschi che cercavano di sbarrare e rendere inagibili le strade in modo da ritardare il più possibile l'avanzata anglo-americana e loro rappresaglie che causarono altre vittime da aggiungere a quelle dei bombardamenti. L'episodio più eclatante della ferocia nazista avvenne proprio il 18 Ottobre, giorno della loro ritirata. Quel giorno infatti le truppe tedesche in ritirata incontrarono sulla loro strada don Biagio Mugione giovane prete della parrocchia di San Sebastiano, che dal vicino comune di Dragoni, si recava nella propria parrocchia per assistere e dare conforto ai suoi parrocchiani. Non si conosce il motivo dell'efferato delitto, ma si sa solo che senza nessuna palese e plausibile motivazione il giovane fu barbaramente giustiziato davanti a villa Palmieri e il suo cadavere fu ritrovato solo sei giorni dopo nei pressi di un vicino torrente.
Ai morti durante il conflitto se ne aggiungono altri 12, nell'immadiato dopo guerra, a causa dell'esplosione di ordigni bellici inesplosi, di cui dieci erano bambini.
Nel dopoguerra la città ha visto anche un discreto avvio allo sviluppo industriale grazie alla fabbrica di ceramiche e laterizi Moccia, oggi non più in funzione, che è stato uno degli insediamenti industriali più importanti della provincia di Caserta.
Di grande interesse storico, architettonico e artistico sono alcuni edifici e le opere d'arte in essi contenute. Tra questi i più significativi sono:
Le Torri Aragonesi. Prendono questo nome in base all'attuale aspetto, tipico delle fortezze rinascimentali, ma sicuramente rappresenta solo lo stato finale di un'opera iniziata molti secoli prima e appliata e sviluppata nel corso dei secoli e con il mutare delle esigenze.
Si tratta di una fortificazione medievale sviluppatasi intorno ad un mastio preesistente. Nelle mura del poderoso castello sono inserite quattro torri cilindriche angolari, di cui la più imponente, il Mastio, incamicia una più antica torre quadrata.
Nonostante il castello sia stato abbandonato verso il 1500 e giace ora in condizioni di degrado, sono ancora ben visibili alcuni ambienti interni, come la cucina, i depositi e la cisterna.
Basilica di San Ferdinando, detta di Santa Maria di Cubulteria fino al 1300, perchè sorgeva probabilmente in prossimità dell'antica città (non si conosce ancora con precisione dove fosse localizzata Cubulteria), fu poi dedicata a San Ferdinando d'Aragona, vescovo di Caiazzo e protettore di Alvignano, rappresenta un vero gioello architettonico, fusioni di stilemi Longobardi e Bizantini.
Edificata probabilmente nell VIII-IX secolo sui resti di un antico tempio pagano, dedicato alla dea Bona, rappresenta un raro esempio nel territorio di architettura longobarda con chiari influssi bizantini (in effetti tutte le altre Chiese del periodo nel territorio considerato, furono completamente rifatte nel XVII-XVIII secolo, quindi si presentano quasi tutte in stile Barocco, o Neoclassico), tanto che è stata recentemente ristrutturata dalla sovrintendenza dei beni culturali.
La facciata esterna in mattoncini è a salienti, dove al corpo centrale della navata principale si affiancano lateralmente i due corpi più bassi corrispondenti alle navate laterali. Il corpo principale è caratterizzato da un Portale con protiro a tutto sesto, realizzato sempre in laterizio. Le facciate laterali sono dotate anch'esse di portali anch'essi a tutto sesto, ma di dimensioni minori e senza protiro. Le finestre monofore, sono tre sulla facciata principale e sette su ciascuno dei muri laterali.
L'interno a tre navate, separate da archi a tutto sesto sempre realizzati in mattoncini, termina in un abside cieco perfettamente semicircolare. Purtroppo non vi è più traccia degli anctichi affreschi che la chiesa sicuramente possedeva, ma durante i lavori di restauro sono state rinvenute, sul pavimento. tracce degli antichi mosaici, tra cui un fiore a sei petali di fattura Longobardo-Bizantina.
Chiesa di San Sebastiano Martire. Realizzata nel XII-XIII secolo è stata radicalmente trasformata nei secoli seguenti, tanto che il suo aspetto attuale è quello tipico di un edificio del XVIII-XIX secolo. L'impianto è a croce latina, a tre navate, la navata centrale con volta a botte e le due navate laterali con volta a vela. In essa si conserva un'interessante tela del seicento raffigurante la Madonna con Bambino di autore anonimo, ma che qualche studioso attribuisce al pittore napoletano Nicola Maria Rossi. Sulla parete del battistero si trova una scultura del Cristo risalente forse al 1400 e appartenente forse ad un'antica cappella inglobata poi nella Chiesa. Nella navata di destra si trova un importante fonte battesimale risalente al 1500, ma forse la cosa più interessante è l'Organo del XVII secolo realizzato dall'organaro napoletano Domenico Antonio Rossi.
La comunità di Alvignano è molto affezionata a questa Chiesa in quanto contiene le spoglie di San Ferdinando, il Santo Patrono della città.
Di grande interesse artistico è la Cappella di Santa Maria della Natività, sita nel borgo di San Mauro e che deve il suo nome alla pregevole statua lignea (in legno di pero) settecentesca, raffigurante la Madonna con Bambino.
La Chiesa è di origine rinascimentale, forse costruita su una precedente cappella dedicata a San Mauro, già esistente nell X secolo, in quanto menzionata nella bolla di consacrazione di Santo Stefano Minicillo del 979.
L'interno, con pavimento in cotto, conserva tre affreschi rinascimentali, di autore anonimo, raffiguranti uno Santa Lucia, un altro San Ferdinando d'Aragona e il terzo San Mauro. L'affresco raffigurante San Ferdinando riporta la data 1531.
Di grande interesse è il portale, anch'esso rinascimentale, costituito da due pilastrini e un architrave in pietra calcarea. Sia i pilastri che l'architrave sono suddivisi in riquadri lavorati a bassorilievo e raffiguranti figure allegoriche della cristianità.
Santuario dell'Addolorata. Edificata nel 1514 su un antica chiesa detta Santa Maria Fuori le Mura, di cui si possono ancora oggi ammirare alcuni resti sotto il campanile. era inizialmente dedicata all'Annunziata, ma con il lento svilupparsi nella chiesa del culto per l'Addolorata, fu elevata nel 1957 dall'allora vescovo di Caiazzo, Mons. Nicola Di Girolamo, Santuario dell'Addolorata. Conserva nella sagrestia un'interessante tela datata 1774.
Meritano inoltre una visita le chiese di San Nicola di Bari e San Pietro e Paolo entrambe di impianto rinascimentale.
Di grande interesse sono poi i due splendidi borghi di Marcianofreddo e di San Mauro, siti a pochi chilometri da Alvignano, immersi nel verde incontaminato dei Colli Trebulani e che entrambi hanno mantenuto integro il loro impianto originario di borghi rurali, di origine medievale o rinascimentale.


Dragoni. È circa 5 km a nord di Alvignano, lungo la SP 158 che collega Caiazzo con Riardo. È un comune di circa 2000 abitanti, dediti prevalemente all'agricoltura e all'allevamento, mentre l'industria consiste nell'estrazione di pietre per costruzioni dalle numerose cave disseminate sul territorio. In passato il comune possedeva anche una cava di marmo, nota sin dai tempi dei romani, con la quale si sono adornati molti dei monumenti della zona e che è stato anche usato per il rivestimento del monumentale scalone della reggia di Caserta. Un notevole impulso al turismo sembra ci sia stato da quando è stato costruito il Jolly Park, un attrezzato acqua park, che attira ragazzini adulti e bambini da tutta la provincia di Caserta.
Il comune non è costituito da un unico centro, ma da tanti piccoli borghi sparsi nel territorio. I borghi, o casali, sono per l'esattezza sette e prendono i nomi di: San Marco, Aschettini, Chiaio, San Giorgio, Pantano, Trivolischi e Maiorano di Monte, che come dice stesso il nome è quello che si trova più a monte, sulla strada che da Dragoni porta a Liberi.
Il toponimo "Dragoni", deriva dal leggendario drago che viveva nella Grotta di San Michele del vicino Monte Melanico, nella frazione Profeti di Liberi, che sarebbe stato ucciso da San Michele per salvare una fanciulla che gli era stata offerta in sacrificio. La leggenda vuole che le sette frazioni di Dragoni, siano nate proprio in corrispondenza dei luoghi dove caddero le sette teste del drago recise da San Michele.
Sicuramente anche Dragoni, come la vicina Alvignano, deve le sue origine allo spopolamento dell'antica città, Sannita prima e Romana poi, di Cumbulteria, la cui popolazione abbandonata la città si disperse tra i monti e nei boschi, dando origine a tanti piccoli villaggi, dai quali discendono i tanti piccoli borghi della zona.
Anche se le mura poligonali nei pressi dei ruderi del castello medievale, le tombe di origine Sannita trovate qualche anno fà nelle vicinanze della frazione di Triviscoli e i tanti oggetti di epoca romana e precedente rinvenuti nel territorio comunale, dicono con chiarezza che il territorio fosse abitato già in epoche antiche, la prima testimonianza storica dell'abitato di Dragoni si ha nel medio evo e precisamente nell'812, quando è menzionato nella "Chronicon Vultumense" con il toponimo di Traguni. Quindi l'origine di Dragoni deve farsi presumibilmente risalire al Medioevo e precisamente al periodo della dominazione Longobarda. Infatti si fa risalire al X secolo, cioè proprio durante la dominazione Longobarda, la costruzione del poderoso castello di cui ancora oggi restano i ruderi sulla cima del monte detto appunto Monte Castello.
Nell'XI-XII secolo, Dragoni, come tutto il resto dell'Italia meridionale fu conquistata dai Normanni, che dominarono in questa parte d'Italia per circa un secolo. Durante il loro dominio il feudatario di Dragoni più importante fu un certo Goffredo di Baldano, che istituì nel castello una importante biblioteca. Importante al punto tale che si dice vi studiò il Boccaccio e che ricevette la visita dei re della dinastia Angioina.
La famiglia Baldano tenne il feudo di Dragoni per sette generazioni; In seguito il feudo fu posseduto dai Ruffo, dai Marzano, dai De Carlon, dai Falco di Alvignano, e dal 1620 dai Gaetani di Laurenzana, anch'essi signori della vicino Alvignano, con il quale Dragoni doveva costituire un unico feudo. Tutti questi signori custodirno e arricchirono ancora di più la famosa biblioteca e nel XVII e XVIII secolo si dice che essa raggiunse una tale fama da essere oggetto di visita di molti studiosi italiani.
Altre notizie storiche su Dragoni si hanno nel 1799, quando caduta la repubblica partenopea, molti rivoluzionari in fuga da Napoli si rifugiarono proprio a Dragoni, dove grazie ai fitti boschi e al terreno montuoso riuscirono a mettersi in salvo dalla persecuzione dei Borboni. Circa sessanta anni dopo, durante la conquista di Garibaldi, a Dragoni si riunì e si armò, l'Armata Garibaldina del Matese, che aiutò le camice rosse contro i Borbonici asserragliati a Capua.
I monumenti di interesse sono disseminati nelle varie frazioni. Tra essi ricordiamo:
Castello Medievale. Sito, come già detto, sulla cima del Monte Castello, vicino alla frazione di Chiao, si presenta con pianta approssimativamente quadrata. Esso conserva i resti del mastio, anch'esso quadrato e resti di una torre circolare. All'interno del castello sono ancora visibili una grande cisterna circolare e alcuni vani rettangolari con copertura a volta.
Purtroppo di questo poderoso castello rimangono ormai soltanto i ruderi e della celebre biblioteca nemmeno la traccia. Sulla collina di detto castello sono state individuate due cinte murarie concentriche, in opera poligonale, di epoca Sannitica.
Chiesa dell'Anunziata. Si trova nella frazione di Chiaio ed è sicuramente la più importante del paese. Edificata nel 1323, subì modifiche e rifacimenti, documentati nel 1530 e nel 1771, che gli lasciarono le attuali imponenti forme.
L'interno, a tre navate dalle cui navate laterali si sviluppano sei cappelle, è riccamente decorato con stucchi e nella parte centrale è sovrastata da una cupola sostenuta da coppie di colonne in finto marmo. Alla Chiesa si accede attraverso un antico portale, incorniciato con un bellissimo marmo locale finemente intagliato. Appena entrati nella Chiesa, subito a sinistra si trova una bellissima fonte battesimale, realizzata anch'essa in marmo locale, che qualcuno fa risalire ad epoca romana, ma sicuramente sarà più recente. Ma romano o non romano, si tratta di un vero gioellino che potete ammirare voi stessi nella foto presente nell'album fotografico, risparmiandomi la descrizione che sicuramente risulterebbe noiosa e non renderebbe appieno la bellezza dell'opera.
A destra dell'ingresso, in posizione simmetrica rispetto alla fonte, si trova una bellissima acquasantiera, realizzata anch'essa in marmo locale e risalente al XVIII secolo.
Nel presbiterio di forma quadrata si trova una bella tela dell'Annunciazione, di scuola napoletana, risalente alla seconda metà del 700. Di notevole bellezza è anche la Cantoria Lignea, dipinta in oro del XVII secolo.
Nella sagrestia si conserva un notevole altare ligneo, sormontato da una tela dell'Immacolata, resti di un antichissimo affresco raffigurante San Ferdinando, e oggetti risalenti ad epoca romana.
Chiesa di Sant'Andrea. Si tratta di una piccola Chiesa, a pianta rettangolare, sita nella frazione di Pantano. Conserva un bellissimo altare in marmo di Dragoni.
Nella frazione di Trivolischi si trova l'antica Chiesa di San Simeone, a pianta quadrata, che conserva affreschi del XV secolo purtroppo molto rovinati.
Chiesa di San Nicola. Sita nella frazione di San Marco, risale forse al XIII secolo, ma purtroppo delle forme originarie ha ormai perso ogni traccia. Presenta sulla facciata un riquadro maiolicato, di fattura recente raffigurante San Nicola. All'interno conserva alcune tele del XIX secolo e un dipinto firmato F. Biasucci e datato 1915, raffigurante la Madonna Adolescente con la madre, Sant'Anna.
Nella frazione di Maiorano si trova la Chiesa di San Giovanni Battista, risalente al XV secolo. In essa si conservano alcuni dipinti del XVII secolo.

Baia e Latina. Piccolo comune di circa 2300 abitanti, si può raggiungere da Dragoni dopo circa 4 Km, percorrendo verso Nord la Sp 158.
Il comune formato dai due centri di Baia e di Latina, oltre altre piccole frazioni, è posizionato tra le pendici del Monte della Costa e la riva destra del Fiume Volturno, in una fertile vallata ricoperta da prati, campi coltivati e boschi che rendono il paesaggio accattivante e suggestivo.
I due borghi di Baia e di Latina, nati e sviluppatesi come entità autonome e a se stanti, furono costretti ad aggregarsi e a formare un'unica entità politica e amministrativa, dopo la legge dell'08/08/1806, durante il regno di Giuseppe Napoleone, che imponeva ai centri con meno di mille abitanti, di aggregarsi ad altri centri vicini in modo da formare un unico comune. La fusione avvenuta non senza il malcontento delle popolazioni, soprattutto da parte di quella di Latina che si sentiva messa in secondo piano in quanto la sede comunale si trovava in Baia, venne sancita nel 1811 quando con l'istituzione del Circondario di Formicola, appare per la prima volta da dicitura Comune di Baia-Latina, in quanto facente parte di quel circondario (per approfondire vai al link).
La storia dei due centri è molto antica, infatti secondo alcuni studiosi si ritiene che i due borghi di Baia e di Latina sarebbero sorti in seguito alla distruzione da parte dei romani della città sannita di Saticula, che nonostante la storiografia più recente ritenga si dovesse trovare presso l'odierna Sant'Agata dei Goti, un'antica tradizione popolare vuole si trovasse a Oriente del Monte Maggiore e si ritiene che che il nome dell'Odierna frazione di Roccaromana, Statigliano, discenda proprio da Saticula. A conferma di ciò ci sarebbe anche il fatto che in molti documenti antichi i monti Trebulani venivano appunto chiamati Monti Saticolani.
Altri studiosi danno origine diversa ai due borghi. Essi ritengono infatti che Baia, abbia origine Etrusca e ciò sembra sia confermato dal ritrovamento di oggetti che dovrebbero essere di fattura Etrusca, mentre Latina sia stata una colonia romana e la scritta L.L. trovata su una lapide mutila è stata tradotta come Latina Legio, da cui il borgo di Latina avrebbe preso il suo nome. La presenza romana è anche confermata dai ruderi del ponte Oliferno, detto più comunemente dell'Inferno, a nord del paese, sul fiome Volturno.
Storicamente la presenza dei due borghi appare per la prima volta nel 979 nella bolla di Santo Stefano Menicillo, vescovo di Caiazzo, quindi è probabile che il castello medievale di cui ancora oggi si possono vedere i ruderi, sia sorto proprio in epoca Longobarda e poi rimaneggiato nelle epoche successive, fino all'ultimo rimaneggiamento avvenuto nel XV secolo.
Proprio al castello è associata una leggenda in parte confermata dal ritrovamento di alcuni strumenti di astrologia. In una delle sue torri infatti, detta appunto del Saggio, si riene vi abbia dimorato un astrologo, considerato un Saggio per il valore scientifico che veniva attribuito ai quei tempi all'astronomia. La fama di detto saggio fu tale, che a quei tempi il Castello era meta di pellegrinaggio da parte di molti nobili e dame dei paesi vicini. Si dice addirittura che l'astrologo sia stato anche consultato da Beatrice d'Aragona, al quale egli predisse il suo destino da Regina.
Nel medioevo il feudo di Baia, insieme a quello di Latina e la vicina fu prima Baronia dei signori di Roccaromana, in seguito di quelli di Pietramelara e vide la successione di molte famiglie nobili del tempo, come i Marzano di Sessa, gli Origlia, i Di Capua, gli Arcamone di Pietramelara, fino agli ultimi feudatari, i Sanniti Zona signori di Pietramelara ai quali passò intorno al 1797. In seguito alle idee illuministe e riformiste introdotte anche nel regno di Napoli dalla conquista dei francesi con la conseguente nascita della Replubbica Partenopea, il barone Raimondo Sanniti, circondato da un folto gruppo di riformisti vi operò profonde trasformazioni terriere e fece trasformare le sale del primo piano del castello di Baia e Latina in scuola, dove venivano insegnate la dottrina e gli ideali della rivoluzione francese. La restaurazione dei Borbone ovviamente soppresse tale scuola e bloccò le profonde trasformazioni sociali che Raimondo Sanniti aveva introdotto nei suoi territori.
Nell'Ottobre del 43, anche i tranquilli centri di Baia e di Latina conobbero la furia della guerra e subirono violenti e sanguinosi bombardamenti da parte dell'aviazione anglo americana, che provocarono tra l'altro la distruzione dell'antica chiesa di Santo Stefano. Finalmente il 19 ottobre fu liberata Latina, ma a Baia i tedeschi opposero una strenua resistenza e gli alleati riuscirono ad entrarvi solo il 22.
Il territorio di Baia e Latina, con i suoi verdi e sterminati prati, i suoi boschi, le colline verdeggianti e le sinuose anse del Volturno offre già di per se uno spettacolo naturalistico da non perdere, ma oltre la natura, ci sono monumenti e luoghi creati dagli uomini che meritano anch'essi di essere visitati e tra essi vi sono sicuramente:
Borgo Medievale di Baia, con i suoi carattrestici vicoli fatti a gradoni lastricati in pietra, la storica Piazza Cortuzzi con il suo maestoso posto in pietra, che una volta era il centro vitale del borgo. Al borgo si accede attraverso due colonne di epoca Normanni alle quali era attaccato il cancello che delitimitava l'accesso alla città. Esso si sviluppa lungo le pendici di una collina e le anguste e ripide stradine, alle quali si affacciano gli antichi palazzi nobiliari, con i loro stemmi, il Castello Baronale, fino a giungere nella parte più alta dove si trova il Castello Medievale con la sua torre di epoca Normanna, entrambi recentemente restaurati.
Chiesa dell'Annunziata, nella frazione di Latina, risalente al XIV secolo, ma radicalmente ristrutturata in epoca barocca. Alla chiesa si accede tramite un portale alla cui sommità sono incise le lettere "A. G. P." (Ave Grazia Plena) e nel muro perimetrale è conservata l'antica pietra sulla quale sono scolpite le famose "L L" (Latina Legio). L'interno, diviso in tre navate è sormontato da uno spettacolare soffitto ligneo, decorato in oro zecchino con scene allegoriche e mistiche, risalente al XVIII secolo. Durante gli ultimi lavori di restauro, sulle pareti delle due navate laterali, è stato riportato alla luce un prezioso ciclo di affreschi realizzati in epoche diverse di cui il più antico risalente all'incirca al XIV secolo.
Si conservano inoltre nella chiesa, l'altare maggiore realizzato in marmo di Dragoni, un pregevole pulpito in legno intagliato ed un interessante organo settecentesco di notevole pregio artistico.
Santuario dell'Assunta, nel capoluogo di Baia, sito al di fuori del centro abitato e dal quale è posibile ammirare uno splendido panorama.
Chiesa di San Lorenzo Martire, nella frazione di Latina. Edificata in epoca tardo medievale, fu radicalmente rifatta sul finire del 1800. Il soffitto liscio è decorato con stucchi e presenta un ovale in cui 6egrave raffigurato San Lorenzo. Le pareti laterali dell'unica navata conservano numerose statue in marmi policromi.
Chiesa di San Vito Martire in Baia. Edificata nel XVIII secolo deve il suo attuale aspetto al radicale restauro effettuato nel 1891, conserva pregevole statue lignee raffiguranti diversi Santi, tra cui quella di San Vito, patrono della città e quella di San Sebastiano raffigurato morente.
Chiesa della Madonna delle Grazie in Latina. Edificata tra il 1700 e il 1716, presenta una facciata molto semplice con tetto a capanna. L'interno anch'esso molto semplice è caratterizzato da grandi edicole decorate da stucchi color bronzo.
Chiesa di Santo Stefano, in Baia. Edificata verso la fine del 1900, dopo la distruzione dell'antica chiesa avvenuta durante gli eventi bellici del 43, ha una facciata caratterizzata da un bel portico ricoperto a tegole. L'interno molto luminoso si presenta con una planimetria singolare con una navata centrale con terminazione semi circolare ed una laterale. Conserva una statua della Madonna del XVI secolo.
Da ricordare inoltre, in Piazza Silvestri, i bei portali in pietra lavorata a mano con gli stemmi delle antiche famiglie che possedevano l'immobile e Palazzo Scotti, antico palazzo più volte rimaneggiato nel corso dei secoli.

Roccaromana. Piccolo comune di circa 1000, si trova sul versante settentrionale del Montemaggiore, a circa 7 km a sud ovest di Baia e Latina. La polazione, tuttora dedita alle tradizionali attività rurali, è distribuita tra il capoluogo, Roccaromana e le due frazioni di Statigliano e Santa Croce.
Il territorio comunale, immerso in una valle coronata da montagne spettacolari e verdeggianti, ricoperto di fitti boschi e verdi prati, rappresenta una delle poche oasi natrurali ancora incontaminate e selvagge, tanto che il 26 Novembre 2005 quest'area del Montemaggiore, insieme a quella della vicina Pietramelara è stata riconosciuta Area Wilderness.
Roccaromana ha origini antiche. Gli storici sono infatti divisi sull'ubicazione dell'antica città sannita prima e romana poi di Saticula, citata da Virgilio nell'Eneide e da Livio nella sua storia delle guerre Puniche in cui racconta che fu distrutta da Fabio Massimo in quanto alleatasi con Annibale durante la Seconda Guerra Punica. Una parte di storici ritiene che essa si trovava nei pressi dell'odierna Sant'Agata dei Goti, altri invece collocano l'antica città su una rupe del Montemaggiore e precisamente nei pressi dell'odierna frazione di Statigliano, di cui anche il nome sembra far riferimento ad essa.
La prima notizia storica sulla città di Roccaromana risale al 1101, quando in un diploma di Riccardo II viene menzionato Adamo de Roccaromana tra gli uomini d'arme del principe di Capua. È quindi certo che il paese esisteva già in epoca Longobarda e mantenne fino al 1229 l'appellativo di Terra filiorum Pandulfi riferita a quel Pandolfo principe Longobardo di Capua.
Risale quindi alla dominazione Longobarda la nascita della Baronia di Roccaromana, che si protrasse anche nel periodo Normanno, Svevo fino agli inizi del 1300, sotto gli Angioini, quando l'ultimo barone della dinastia Longobarda, Filippo de Roccaromana, per ragioni a noi sconosciute perde i suoi possedimenti. Fu con questa famiglia che la baronia raggiunse il suo massimo potere, comprendendo nei suoi possedimenti anche i feudi di Baia e Latina, Pietramelara e Pietravairano.
La famiglia De Roccaromana, dovette affrontare anche periodi difficili come la conquista del regno da parte dei Normanni, quando l'allora Barone Andrea, dopo la conquista di Alife da parte dei Normanni spalancò le porte del suo feudo ai nuovi conquistatori, senza opporre resistenza e con ciò non solo riuscì a conservare per se e per i suoi discendenti i suoi possedimenti, ma ottenne dal nuovo sovrano la carica di Regio Giustiziere presso la corte Normanna; oppure quando nel 1229, sotto la dinastia Sveva, Roccaromana fu conquistata dalle truppe papali, che cercavano di togliere il regno a Federico II, partito per le crociate, ma l'imperatore rientrato frettolosamente in Italia, si riappropriò del suo regno e anche di Roccaromana.
Nel 1326, la famiglia De Roccaromana perde i suoi possedimenti che vanno alla potente famiglia dei Marzano di Sessa, che lo detennero fino al XVI secolo, quando Sigismondo Marzano perdette i suoi possedimenti perchè alleatosi con il Re di Francia, Francesco I, che cercò di strappare il vicereame di Napoli agli spagnoli. Il Feudo di Roccaromana, fu prima assorbito dal Regio Demanio, poi venduto a Giovanni Colonna. Nel 1782 il feudò passo ai Caracciolo di Mignanno, che lo detennero fino al 1806, anno di eversione della feudalità.
I siti di interesse storico artistico a Roccaromana, sono:
Sito fortificato di Monte Castello, situato a circa 416 m, sull'altura che sovrasta la frazione di Statigliano, è costituito da una imponente torre circolare, risalente forse ad epoca Angioina, racchiusa all'interno di una cinta muraria, all'interno della quale si trova la piccola Chiesa di Santa Maria a Castello, anch'essa di epoca medievale, ma più restaurata nel corso dei secoli.
Più a valle, sul crinale della montagna che scende verso Statigliano, vi sono i ruderi di altre due torre medievali, con i resti di una seconda cinta muraria che racchiudeva un villaggio medievale.
Palazzi del Centro Storico, con i loro antichi portali datati tra il 1600 e 1900. Tra essi spiccano il Palazzo De Ponte, in piazza San Cataldo e un antico palazzo ottocentesco che fungeva da edificio scolastico dove è ancora oggi possibile leggere sulla facciata principale le scritte: Maschile e Femminile, che indicavano gli ingressi separati per maschi e femmine. Interessanti sono inoltre Palazzo Peluso con elementi i stile gotico, il Palazzo Municipale del 1600 e la Torre Campanaria del 1824.
Chiesa di San Cataldo, patrono della città, costruita su una preesistente cappella del XV secolo, conserva nel abside un prezioso dipinto del pittore napoletano: Vincenzo Gallipoli, datato 1910.
Chiesa di Santa Margherita, nella frazione di Statigliano, edificata nel 1600. Conserva anch'essa un prezioso dipinto del 1910, raffigurante il martirio di Santa Margherita.
Chiesa della SS. Croce nella frazione di Santa Croce, edificata nel 1600 su un'antica Cappella. Interessante la Casa Canonica di Santa Croce con al centro un antichissimo pozzo in pietra.
Cappella del Purgatorio, da poco restaurata, risalente al XV secolo. Conserva nel presbiterio, un affresco di scuola caiatina che rappresenta una Madonna in Trono con bambino e incastonati nella muratura gli stemmi delle famiglie De Roccaromana e dei Marzano.
Chiesa di Santa Maria di Nives, situata nei pressi del cimitero, conserva un'interessantisimo campanile in stile romanico e un antico portale in pietra.
Chiesa dell'Annunziata, attualmente in fase di restauro e chiusa al culto, fu edificata nel XVII secolo dai padri Agostiniani. Si presenta con pianta a tre navate, con un antistante portico in stile Barocco.
Borgo di Statigliano, con il suo centro storico fatto di stradine trette e tortuose, di chiaro impianto medievale , sulle quali si affacciano abitazioni ottocentesche alcune delle quali presentano fregi in pietra lavorati a mano.
Vecchi Sentieri, per gli amanti della natura, che percorrendo vallati e fitti boschi permettono di fare escursioni a piedi, fino ad arrivare all'antico castello e i luoghi più significativi del Monte maggiore, come la Grotta di San Michele nella frazione di Profeti di Liberi e Pizzo Madama Marte, una delle vette dei Monti trebulani.

Pietramelara. Città di circa 4700 abitanti, sorge sul versante nord occidentale dei Monti Trebulani, pochi chilometri a ovest di Roccaromana.
Il territorio comunale in quanto comprende sia la fertile pianura solcata dal Rio Pietramelara, intensamente coltivata a ortaggi, frutta e foraggio e sia i rilievi collinari dei Monti Trebulani caratterizzati da fitti boschi e rupi scoscese.
L'attuale cittadina che si svilutta per lo più in pianura è sovrastata da un antico e caratteristico borgo medievale, che si addossa a un rilievo smussato e culmina nella imponente torre quadrangolare. L'impianto a Buccia di Cipolla, costituito da strati concentrici che si sviluppano intorno alla Torre Medievale, fanno di questo borgo un unicum che non vede strutture similiari ne tra i borghi fortificati del medievo, ne ne tra quelli delle epoche successive.
I resti di mura poligonali e altri ritrovamenti avvenuti sul Monte Castellone, segnalano la presenza umana nel territorio, in epoca molto antica e di sicuro in epoca Sannita, mentre il complesso sotterraneo delle Grotte di Seiano i ruderi di alcune ville di epoca repubblicana, attestano la presenza di un qualche centro abitato già in epoca romana.
Il primo documento storico che menziona il centro abitato di Pietramelara, risale al medioevo e precisamente al 928, quando i principi Longobardi Landolfo e Atenolfo, donarono con un rogito parte del territorio di Petra Mellara all'abbazia di Montecassino.
In seguito essa appartenne per più alla baronia di Roccaromana e durante tale periodo dovette subire nel 1229 la conquista da parte delle truppe del Papa e la riconquista meno di un anno dopo dell#39;imperatore Federico II. Quando nel 1326 si estine la famiglia De Roccaromana, Pietramelara fu assorbita dalla corona Angioina che poi lo dette in concessione a Eduardo Colonna e in seguito a Federico Monforte, che trasformarono il poderoso castello da fortezza ad elegante residenza gentilizia.
Nel 1495 Carlo VIII, Re di Francia, rivendicando il trono di Napoli in quanto discendente degli Angioini, invase il regno, costringendo il sovrano di Napoli, Ferdinando II d'Aragona a riparare prima ad Ischia e poi in Sicilia. Pochi mesi dopo, Carlo VIII, allarmato dalla lega antifrancese creata dagli stati italiani alla quale aderirono anche Spagna e Austria, decise che era meglio cambiare aria e con il grosso dell'esercito abbandonò Napoli alla volta della Francia. Ma non avendo rinunciato alla perdita della corona di Napoli, lasciò presidi militari nei punti più strategici del regno, tra cui anche uno a Pietramelara. Quando Ferdinando II tornò dalla Sicilia per riprendere possesso del suo regno, dovette prima espugnare le fortezze in cui erano ancora insediate le truppe francesi. Fu così che anche Pietramelara fu assediata e dopo 15 giorni di resistenza, il 13 Marzo 1496, le truppe Veneziane, alleate di Ferdinando II, riuscirono ad aprire una breccia nelle mura di cinta, nel punto ancora oggi chiamato "Muro Scassato" e penetrarono in città, mettendola a ferro e fuoco. La città fu quasi completamente distrutta e i suoi cittadini, che per scelta o per costrizione avevano combattuto a fianco dei francesi furono massacrati o venduti come schiavi. I pochi sopravvissuti ricostruirono la città che poco dopo, durante il vicereame Spagnolo fu eretta a università, con propri statuti e notevoli poteri di pertinenza feudale.
Durante il periodo della dominazione spagnola il feudo fu assegnato prima a Fernandez de Cordoba, poi a Lucrezia Arcamone e alla famiglia De Capua. Gli ultimi feudatari furono i baroni Sanniti Zona, che la detennero fino al 1806, anno di abolizione del feudalesimo.
Nel 1816 fu sede del Circondario di Pietramelara, di cui facevano parte i comuni di Pietramelara, Roccaromana, Riardo, Pietravairano, San Felice (oggi frazione di Pietravairano) e qualche anno dopo fece parte del circondario anche il comune di Baia e Latina. Il 19 Settembre 1860, poco prima della Battaglia del Volturno, tra Pietramelara e Roccaromana si ebbe un primo scontro tra garibaldini e truppe borboniche.
Sia per la natura incontaminata in cui è immersa, sia per le innumerevoli bellezze architettoniche, Pietramelara è una delle città assolutamente da non perdere per chi volesse fare un viaggio nell'Alto Casertano. Sono senza dubbio da vedere:
Il suggestivo Borgo Medievale, posto su un altura da cui si domina tutto il territorio circostante e circondato da possenti mura scandite da 12 torri. Come abbiamo già detto, unico nel suo genere, è costituito da strettissime stradine concentriche, che a spirale salgono fino all'imponente torre medievale.
Chiesa Madre di San Rocco, edificata nel XVI secolo, e più rimaneggiata, subì l'ultimo radicale restauro nel 1901, che ne sconvolse l'originario aspetto, fornendoci la struttura odierna. Di particolare interesse sono il portale ligneo, scolpito interamente a mano, la settecentesca Statua Lignea di San Rocco e gli affreschi nell#39;abside del Gallipoli realizzati intorno al 1901.
Chiesa di Sant'Agostino, con annesso convento che oggi ospita la casa comunale, conserva pregevoli tele del 700, di cui una raffigurante San Benedetto attribuita a Paolo De Matteis, pittore si scuola napoletana allievo del celebre Luca Giordano. Una splendida Madonna con Bambino, attribuita al Solimena e una rara scultura in legno policromato della Pietà. le stanze superiori della chiesa ospitano un'interessante Museo d'Arte Sacra, visitabile su richiesta.
Chiesa dell'Annunziata, oggi dichiarata monumento nazionale, conserva un interessantissimo Altare Maggiore in marmi rosa del 1769, con una preziosa pala in legno raffigurante l'Annunciazione della seconda metà del XV secolo; un affresco quattrocentesco raffigurante la Madonna con Bambino, e altri due affreschi raffiguranti sempre Madonna con Bambino, uno del del XIV e l'altro del XV secolo. Notevoli risultano anche il Pulpitoin Legno intagliato del 700 e il bel soffitto in legno dipinto con riquadri raffiguranti i quattro profeti maggiori attribuiti alla scuola del Giorgione.
Convento di San Pasquale, attaccato al cimitero, presenta un bel Chiostro Quadrato da cui si possono ammirare le celle dei monaci e l'attiguo giardino. È visitabile su autorizzazione del Priore.
Resti del Palazzo Ducale, edificato nel 1497 da Faustina Colonna, fu tra i primi esempi nel meridione di dimora gentilizia, connessa con un grande parco-giardino denominato Pomario. Si dice che il palazzo abbia ospitato più volte il Re Ferdinando II di Borbone quando si trovava nel territorio per ragioni caccia.
Grotte di Seiano, vasto complesso sotterraneo in muratura, dotato di cisterne e circondato da mura megalitiche. La muratura che riveste le grotte è di sicura fattura romana, ma le mura megalitiche che circondano il sito fanno supporre a una precedente opera sannitica. Non si conosce ancora (anche perchè il sito non è mai stato indagato) la reale destinazione di tale struttura, c'egrave chi ipotizza si trattasse di bagni Termali, chi di una struttura sacra, chi di cisterne e chi ancora si stazione della posta, ma di certo esse rappresentano il più interessante sito archeologico del Montemaggiore.
Il Borgo Medievale è un borgo quasi intatto e per la sua tipicità non avrebbe niente da invidiare ai più blasonati e celebri borghi dell#39;Umbria o della Toscana e insieme alle Grotte di Seiano potrebbe rappresentare una notevole attrazione turistica e fonte di ricchezza per la città. Ma purtroppo l'incuria, la mancanza di interventi e di sensibilità verso i propri tesori culturali, fanno si che la città sia praticamente sconosciuta e al di fuori di qualsiasi circuito turistico. La foto delle grotte di Seiano che potete ammirare nel Sito del Comune, purtroppo non riguarda le grotte di Pietramela, ma delle omonime grotte della zona Flegrea. Non so se i politici che amministrano il comune provino un senso di vergogna per questo, ma io lo vedo un pò come di uno che si vergogna dei propri figli e mostra le foto dei figli degli altri spacciandoli per suoi. Lo stato reale delle Grotte di Seiano, lo potete dedurre da soli da questo esplificativo Video.

Riardo. Piccolo comune di circa 2.400 abitanti, sito a pochi Km a ovest del comune di Pietramelara e alle pendici nord occidentali del Monte Maggiore.
L'abitato è costituito da un caratteristico borgo medievale che si sviluppa lungo un piccolo promontorio di forma conica, alla cui sommità è sovrastato da un turrito castello medievale e dalla parte moderna che invece si sviluppa a valle di questo promontorio, nella zona pianeggiante.
La parte pianeggiante del territorio comunale è intensamente coltivata a foraggio, ortaggi e frutta, mentre le zone collinari a oliveti e in quelle meno adatte alla coltivazione sono presenti distese di macchia Mediterranea costituite da fitti boschi di querce.
Ma Riardo è soprattutto famosa per la presenza di numerose sorgenti di acque minerali, tra le quali ricordiamo quelle della Ferrarelle e Santagata nei cui stabilimenti sono impiegati la maggior parte della popolazione attiva del comune.
Storia. Come testimoniato da tombe risalenti al V/VI secolo A.C. rinvenute in località Palazzone, la zona era frequantata sin da epoca sannitica e in epoca romana, come testimoniato da Vitruvio e Plinio il Vecchio, erano già note le sue sorgenti di acque minerali e termali, alle quali venivano attribruite proprietà miracolose. mentre il rinvenimento di monete, cippi funerari, colonne e cisterne per la conservazione delle acque piovane, risalenti al periodo repubblicano e imperiale, attestano la presenza di un abitato anche in epoca romana.
Per quanto riguarda il toponimo "Riardo", il dibattito è ancora aperto, c'è chi ipotizza il nome sia dovuto al passaggio di Annibale nel territorio e che avesse buttato il sale sul terreno, tanto che esso Ardeva per l'aridità, chi invece ipotizza che il nome Riardus sia da attirbuire al ribollire delle sue acque e chi ancora fa riferimento al toponimo Rialto riportato nel Catalogus Baronum, come riferito alla sua posizione.
Dopo la caduta dell'impero romano, anche Riardo segue le sorti del territorio circostante. Nel V/VI secolo D.C fu occupata dai Longobardi, al quale risale l'imponente castello e intorno al quale si sviluppò l'attuale borgo medievale.
I Longobardi detennero il territorio fino all'XI secolo, quando sopraggiunsero i Normanni che conquistarno l'intera Italia Meridionale, dando vita al Regno di Sicilia prima e di Napoli poi, al quale il destino di Riardo è indissolubilmente legato.
Nel 1271 Riardo fu concessa in feudo a Simone di Monforte da allora numeroso sono i feudatari che si sono succeduti, tra i quali i Gaetani e i Carafa.
Nel 1463, Riardo fu assediato dal re Ferrante d'Aragona, in quanto il giovane feudatario di allora
Antonio Cristoforo Gaetani, aveva parteggiato per la causa Angioina. I Riardesi si difesero strenuamente e si narra che solo tre Riardesi, anche dopo che la città aveva aperto le porte alle truppe Aragonesi, asserragliati nel castello tennero in scacco il sovrano a tutto il suo esercito ancora per altri giorni, costringendo il Re a scendere a patti con loro.
Nel 1731, per concessione di Carlo VI, imperatore d'Austria e Re di Napoli, concesse al feudo di Riardo il titolo di ducato e l'allora feudatario, Giuseppe Francesco Caffaro, fu il primo duca di Riardo.
Durante il Risorgimento, in Riardo è segnalata la presenza di affiliati alla Carboneria come i fratelli Arcadio e Bonifacio De Nuccio, mentre i loro nipoti Pietro e Rocco De Nuccio aderirono alla Giovane Italia di Mazzini. Ma dopo l'Unità d'Italia, anche a Riardo si manifestò il fenomeno del brigantaggio che culminò nel rapimento e uccisione di Pietro De Nuccio e di suo nipote Lucio, da parte della famigerata banda del brigante Fuoco, che era attiva nella zona.
Durante il secolo scorso anche Riardo, ha subito le distruzioni e le perdite legate ai due grandi conflitti mondiali, ma ha saputo risollevarsi grazie soprattutto alla valorizazzione delle sue acque minerali che hanno assunto fama nazionale ed internazionale.
Da non perdere, per chi si trovasse a Riardo, sono:
Il caratteristico Borgo Medievale, di impianto tipicamente mediavale e anche se ha subito ristrutturazioni e rifacimenti nel corso dei secoli, conserva appieno le sue caratteristiche archittettoniche del XIII / XIV sec. Si sviluppa lungo le pareti di un promontorio scoscesco ed è caratterizzato da stradine parallele, intersecate da irte viuzze o scalinate che collegavano i vari livelli. Molte abitazioni del borgo si presentano in stato di abbandono e decadenza perchè disabitate, ma molte di esse sono tuttora abitate
Alla sommità del colle sul quale adagiato il borgo sorge l'imponente Castello di aspetto tipico Angioino-Aragonese, come confermato anche da una scritta su una pietra rinvenuta durante i recenti lavori di restauro, che riportava la data 1222. Ma sicuramente l'origine del castello è da ricondurre ai Longobardi, che nel corso del IX secolo fortificarono la zona, per difendersi dalle incursioni sempre più frequenti dei Saraceni, dalle ambizioni dei potenti ducati Bizantini di Napoli e di Gaeta e dalle scorrerie dei potenti Abati di Montecassino che da sempre vantavano pretese su queste terre.
Il castello di notevoli dimensioni (circa 2.750 mq), si sviluppa su quattro livelli: Un piano seminterrato, un piano terra e due altri piani superiori. Gli ambienti si dispongono secondo due corpi di fabbrica adiacenti, innsestati ad angolo retto verso settentrione, mentre gli altri due lati sono costituiti da possenti mura di cinta, che delimitano le corti interne.
Ai quattro angoli del perimetro esterno sorgono quattro torri cilindriche tipiche del periodo angioino, mentre sul lato sud occidentale si trova un possente torrione quadrato, forse testimonianza della primitiva struttura Longobarda.
Elemento architettonico di particolare interesse è l’enorme finestrone arcuato dal quale è possibile spaziare con lo sguardo fino al mare attraverso la piana del Savone.
All'ingresso del borgo si trova l'antichissima Chiesa di San Leonardo di orgini protocristinae (IV / V se. D.C.), ma più volte ristrutturata nel corso dei secoli, per cui dell'originaria struttura forse rimane solo la parte absidale. L'abside, infatti di forma quasi quadrata e con volta a crociera, con arcata a tutto sesto che sovrasta il transetto, si distingue architettonicamente dal resto della struttura, che presenta caratteri gi architettura gotico-catalano.
Inizialmente la chiesa fu intitolata a San Paolo, ma verso la metà del XIII secolo divenne convento Agostiniano, che la intitolarono a San Leonardo, santo particolarmente venerato dagli Agostiniani.
Dell'antico convento, conserva un piccolo Chiostro, con un pozzo incassato in un muro, il giardino e le celle dei monaci cui si accede da una scala di ardua pendenza.
L'ingresso è costituito da un interessante portale di stile gotico-catalano che racchiude un portone ligneo circondato da una cornice in vetro. Il soffitto ligneo, le finestre e le arcate richiamano lo sitle gotico-catalano.
Di grande interesse sono gli affreschi trecenteschi che si conservano sotto le arcate, raffiguranti un Volto fi Gesù:, un San Francesco con la sua Regola, Papa Onorio III ed un monaco, forse uno dei reggenti del convento. Vi sono inoltre alcuni quadri di cui uno di antica fattura raffigurante San Francesco di autore ignoto ed altri contemporanei del pittore riardese Nicola Maciariello.
Di notevole interesse archeologico sono i numerosi cippi funerari, lapidi e colonne in marmo o granito, di epoca romana che si conservano all'interno della struttura.
Chiesa di Santa Maria a Silice. Chiesa madre risalente al XVI secolo, era originariamente una chiesa dell'Annunziata, di cui si conservava fino al 1929, un pregevole quadro, poi rimosso per far spazio a una statua di Sant'Antonio da Padova.
Nella chiesa si conserva una pregevole statua settecentesca, di scuola napoletana, della Madonna della Stella e un'altra statua lignea seicentesca raffigurante Sant'Antonio Abate, donata al popolo Riardese dalla duchessa Elena Aldobrandini. Sotto il pavimento della navata principale, vi è una botola, chiusa durante l'ultima pavimentazione degli anni 60, attraverso la quale si accedeva all'ossario, dove fino alla fine del 1700 venivano deposti i corpi dei defunti.
Santuario di Santa Maria della Stella, realizzato nel decennio 1952-1962, ingloba l'antica, omonima cappella risalente alla fine de XI secolo. Conserva la statua della Madonna della Stella, di stile barocco realizzata nel 1750 dallo scultore Giuseppe Picano. Ma di grandissimo interesse artistico sono gli affreschi di scuola Campana-Bizantina, conservati nell'antica cappella e databili tra la fine dell'XI e gli inzi del XIII secolo.
Di grande interesse naturalistico è il Parco della Masseria delle Sorgenti, realizzato dalla Ferrarelle S.p.a in collaborazione con il FAI (Fondo Ambiente Italiano), un immenso parco di circa 145 ettari di terreno, nel quale vengono coltivati prodotti Bio, come olivi e allevamenti di api, che non interfersiscono con la naturalezza delle acque. Al centro del parco si trova una masseria settecentesca, recentemente restaurata in cui è possibile degustare i gustosi prodotti di questa ricca e fertile terra e dalla quale si può partire per visite guidate al parco.

Pietravairano. Comune di circa 3.000 abitanti, sorge alle falde sud orientali del monte Cavejola. Tranne da Nord, è facilmente individuabile da qualunque direzione si proviene, in quanto il suo centro storico si sviluppa lungo il crinale del monte, dando l'impressione di un grande e vivo presepe.
La popolazione odierna è concentrata soprattutto nel moderno centro che si sviluppa ai piedi del monte e nella frazione di San Felice, trae sostentamento soprattutto dall'agricoltura e dal terziario, ma non mancano attività industriali come la Famar Brevetti, leader in Italia nella produzione di termocamini e stufe a pellett di qualità.
Le origini antichissime, sono testimoniate dal teatro-tempio scoperto nell'anno 2.000 sullla cima del Monte San Nicola e risalente al periodo Sannita. Nella pianura sottostante il Monte cavejola e Monte San Nicola sono state rinvenute numerose ville e cippi funerari risalenti al periodo romano.
Il documento più antico nel quale è citato con il toponimo di Castrum Petrare, risale al 1070, ed è conservato nell'archivio di Monte Cassino.
I primi signori di cui si %egrave a conoscenza che posseddettero il feudo, riportati nel Catalogus Baronum (1150-1168) di epoca Normanna, appartengono alla famiglia De Petra, il cui nome dipende proprio dal feudo, che lo possedette fino alla seconda metà del XIII secolo. Durante tale dominio, nel 1229, Pietravairano fu assediata e conquistata dalle truppe papaline dei Clavicesegnati, che approfittando della partenza dell'imperatore Federico II di Svevia, tentarono di conquistargli il regno.
Verso la fine del XIII secolo, il feudo passa alla potente famiglia dei De Roccaromana, signori dell'omonimo feudo, che lo detennero fino alla loro estinzione nel 1326. In tale periodo e precisamente nel 1309, Pietravairano dovette subire un secondo assedio ad opera dello stesso Jacopo de Roccaromana, che avendolo dato in dote alla figlia Maria, lo sottrasse all'ex genero Lorenzo Caputo che aveva lasciato la figlia.
Alla morte di Filippo de Roccaromana, nel 1326 la baronia si divide e Pietravairano viene posseduto da altre nobili famiglie del Regno di Napoli, tra le quali: i potenti Marzano di Sessa, i Mormile, i Montaquila. Nel 1544 l'allora feudatario don Paolo Mastrogiudice, concesse ed approvò gli statuti municipali che il 15 febbraio 1547 ottennero anche il regio assenso. Tali statuti nonostante non presentino un'organica suddivisione per materia, sanciscono le norme municipali per quanto riguarda il settore pubblico (attività amministrativa, commerciale, giudiziaria e di polizia locale) e il settore privatistico (danni provocati alle propietà, da persone o cose).
Verso la fine del XVI secolo, il feudo viene acquistato da un ramo della potente famiglia genovese dei Grimaldi, che lo detennero fino al 1805 anno di eversione della feudalità. Sotto tale famiglia Pietravairano fu elevata al rango di Marchesato, in quanto i Grimaldi vi trasferirono il loro titolo di Marchesi, che gli fu concesso da Filippo II nel loro feudo di Modugno in Puglia.
Il 6 Marzo 1648, il brigante Domenico Colessa, detto Papone, occupò Pietravairano e vi si trattenne per 4 giorni, fin quando non fu cacciato dalle truppe di Don Martino de Carles giunte in soccorso da Teano.
Durante la spedizione dei mille, molti furono i cittadini pietravairanesi che militarono nella Legione del Matese, incoraggiati dalle entusiasmanti promesse rivoluzionarie fatte dal generale Garibaldi, prima tra tutte quella di concedere la terra ai contadini. Ma dopo l'unità d'Italia, poichè quasi nessuna delle promesse garibaldine fu realizzata e la condizione dei contadini rimase la stessa se non peggiorò rispetto al periodo borbonico, molti cittadini di Pietravairano (tra cui anche qualcuno che aveva poco tempo prima combattuto con i garibaldini contro i Borboni) si diedero al Brigantaggio andando ad ingrossare le numerose bande che scorazzavano nel territorio.
La notte del 27 febbraio 1862, nella frazione di San Felice presso la Masseria castagneto ci fu uno scontro a fuoco tra una banda di 20 briganti e locale guarnigione della guardia nazionale e secondo la loro strategia di guerriglia. i briganti si sparpagliarono dopo una breve zuffa.
Il malcontento contro i piemontesi raggiunse il suo apice il 12 Luglio 1862, quando in seguito ad una illeggittima perquisizione da parte della Guardia Nazionale dei locali del monastero di Santa Maria della Vigna, sospettando che nel convento si potesse nascondere qualche brigante, vi fu un minaccioso assembramento dinanzi al convento di una folla inferocita e di cui molti erano armati di fucili, zappe, acette, forche e pirocche che intendevano assalire le guardie.
Gravi furono i danni che il paese dovette subire durante il secondo conflitto mondiale, soprattutto nei tre giorni che vanno dal 25 al 28 ottobre del 1943. Il 20 ottobre infatti, dopo la conquista di Dragoni da parte degli alleati, il 29 Reggimento della 3° Divisione Panzergranedier tedesca arretrava posizionandosi proprio nelle campagne tra san Felice e Pietravairano, creando una testa di ponte sul Monte San Nicola. Il 25 Ottobre, gli americani riescono a conquistare San Felice, dopo sanguinosi scontri alle pendici della collina sulla quale è situato il borgo medievale di San Felice. La mattina del 26 gli americano portano all'attaco di Monte San Nicola e dell'abitato di Pietravairano, sotto ponendolo a 4 ore di incessante bombardamento sia da terra che dal cielo, durante il quale fu distrutto l'85% dell'abitato e arrecati gravissimi danni al patrimonio artistico culturale, come il Palazzo Marchesale dei Grimaldi che fu completamente distrutto. Il paese fu liberato dai tedeschi, solo la mattina del 28 ottobre e quando il fronte si spostò più a nord Pietravairano ospitò per le truppe alleate che vi rimasero fino all'estate del 44.
Una preziosa fonte storica che abbraccia un arco di tempo di circa un millennio (1179-1791) sono le 62 pergamene della Chiesa Madre di Sant'Eraclio, oggi raccolte in un volume pubblicato da Editalia. Esse forniscono uno spaccato sulla vita cittadina e sui rapporti che intercorrevano tra i cittadini e la Chiesa di Sant'Eraclio, tra la chiesa e la Diocesi di Teano e, ancora, tra la stessa chiesa e le massime autorità ecclesiastiche e laiche, quali: il papa e il re.
Da visitare nel comune di Pietravairano:
Il Centro Storico, costituito da un nucleo più antico, tipicamente medievale, che è ubicata nella parte più alta e racchiusa da una cinta muraria in cui è incluso anche il castello. Come tutti i borghi sviluppatisi in altura nel periodo medievale o rinascimentale è formato da casette in genere a due piani, con tettoie ricoperte con tegole attaccate le une alle altre e da stette e tortuse viuzze lastricate o ripide scalinate.
Le antiche mura costeggiavano l'attuale via collegiata, al di sotto della quale si sviluppa la parte più moderna del borgo, quella risalente ai secoli XVII, XVIII e XIX. Questa parte è costituita da strade più larghe e case meno addossate le une alle altre. In essa si trovano alcuni palazzi nobiliari, come: Palazzo di Meo, Palazzo Cerbi, Palazzo Bassi, tali palazzi sono ancora abitati dalle originarie famiglie. Vi sono poi i palazzi Barca e Belli attualmente disabitati anche se in un buono stato. Palazzo Zarone, invece si presenta in uno stato precario in quanto non più ristrutturato dopo i bombardamenti dell'ultima guerra.
Castello Medievale Di origine Normanna, è ridotto oggi allo stato di rudere. È ancora visibile parte dell'antica cinta muraria dalla quale spiccano possenti torri cilindriche. All'interno della cinta si conservano un torrione cilindrico su base tronco-conica perfettamente conservato, una torre di avvistamento pentagonale, una piccola chiesa dedicata alla Santa Croce, in cui sono ancora evidenti l'altare decorato con bellissimi marmi decorati e un affresco al di sopra di esso. Sono inoltre presenti all'interno della cinta muraria cisterne sotterranee per il raccoglimento delle acque piovane.
Tempio-Teatro del Monte San. Nicola. Scoperto nell'anno 2000 dal prof. Nicolino Lombardi durante una ricognizione aerea, sorge a circa 400 m di altezza, sul Monte San Nicola, dove sono presenti resti di mura poligonali di epoca pre romana.
Il complesso costituito da un tempio e un teatro fu ritenuto inizialmente di epoca sannitica, ma i recenti scsvi effettuati dal comune in collaborazione con l'università di Lecce, hanno messo in evidenza caratteristiche che lo collocorebbero in epoca romana e precisamente risalente al I secolo a.c.
Il Tempio sorge nel punto più elevato dell'altura al centro di una terrazza artificiale all'incirca quadrata, delimitata su tutti i lati da un muro in opera incerta, totalmente crollato. Del tempio è ben visibile la planimetria, compresa la suddivisione interna degli spazi, mentre sono completamente assenti le alzate dei muri.
Il Teatro posto una ventina di metri più in basso rispetto al tempio, presenta le gradinate in discreto stato di conservazione, soprattutto dopo i lavori di scavo e restauro effettuati dall'università di Lecce. Anche l'orchestra si presenta in buono stato di conservazione. La struttura che si dispone a forma di emiciclo lungo il pendio del Monte San. Nicola, presenta caratteristiche tipiche dei teatri greci ai quali i romani in quel periodo facevano riferimento.
Chiesa di Sant'Eraclio. Chiesa madre di Pietravairano dedicata al Santo Patrono, è una delle più antiche della diocesi di Teano-Calvi. essendo attestata la sua esistenza già in una pergamena del XII secolo conservata nell'archivio parrocchiale.
L'aspetto attuale a navata unica con cappelle laterali e quello conferito dall'ultima ristrutturazione risalente al xVIII-XIX secolo. La facciata presenta un portale in pietra calcarea con lesene laterali e un frontone alla sommità. L'interno custodisce un prezioso affresco cinquecentesco raffigurante la Madonna con Bambino e ai lati San Pietro e Paolo e Sant'Eraclio e San Paride (patrono di Teano). Un altare in marmi policromi e un prezioso battistero in onice risalenti al XVIII secolo e un pregevole organo a 916 canne costruito nel 1872 dalla ditta Petrucci di Napoli.
Nella Chiesa si custodisce inoltre una preziosa collezione di Pastori napoletani del 700 donati dal marchese Francesco Grimaldi.
Chiesa di Santa Maria della Vigna. Edificata alla fine del XIV secolo, dopo che nel 1384 fu ritrovata nella vigna di Pietro DElla Vecchia, un dipinto raffigurante la Madonna con Bambino a cui la madre porge un chicco d'uva, fu annesso alla chiesa anche un piccolo convento, che ha ospitato nel corso dei secoli comunità di Domenicani e Francescani e donato nel 2008 alle Clarisse del Sacro Cuore da vescovo di Teano.
Nel 1612, la chiesa fu completamente distrutta da un disastroso incendio e quindi l'aspetto attuale è dovuto alla successiva ricostruzione avvenuta nel XVII secolo.
La facciata seicentesca è delimitata da coppie di colonne. In alto vi sono due nicchie che ospitavano le statue di San Francesco e San Domenico a testimonianza degli ordini religiosi che l'hanno gestita e pinnacoli barocchi.
L'interno è a croce latina a navata unica, ai lati della quale vi sono 5 altari settecenteschi decorati in marmo e 3 cappelle di cui quella sinistra conserva una pregevole pala degli inizi del XVII secolo raffigurante la Madonna del Rosario.
Il presbiterio sopra elevato di circa 1,5 metri, presenta un bell'altare decorato con marmi settecenteschi e al di sopra di esso vi è una preziosa tela dell'Assunzione di Gaetano Gigante risalente alla fine del 700.
Sotto il presbiterio vi è la cripta, alla quale si accede tramite due scale ricoperte con volte a botte. In essa si conservano oltre all'immagine trecentesca della Madonna della Vigna, altri due preziosissimi dipinti tardo gotici rinvenuti durante dei lavori di ristrutturazione nel 1982 e raffiguranti uno la Crocefissione e l'altro San Giuliano.
La struttura è completata dal possente campanile a base quadrata e dal piccolo chiostro ad arcate sorrette da pilastri.
Borgo Medievale di San Felice. Completamente disabitato dal 1954, si presenta oggi in uno stato di abbandono, con la maggior parte delle abitazioni ridotte ormai a rudere. La mancanza di interventi urbanistici nell'ultimo sessantennio hanno fatto si però che non venisse alterato l'originario impianto urbanistico, tipicamente medievale.
Proprio da questo feudo prese il nome la nobile famiglia dei Sanfelice, che ebbe in Tancredi (cfr. Adolfo Panariello-Terra filiorum Pandulfi) figlio di Pietro, che giunse in Italia al seguito di Roberto il Guiscardo, il suo primo feudatario.
Anche se alcune fonti affermano che vi sono notizie di un insediamento fortificato sulla collina di San Felice già nel 928 e quindi in epoca Longobarda, il primo documento ancora esistente in cui viene citato il castello di San Felice, risale al 1117 in una donazione fatta dall'Abate di Montecassino ad un convento di Capua di alcuni terreni inglobati nel suddeto castello.
Non sono ben chiari i rapporti esistenti tra la famiglia dei Sanfelice e quella dei Baroni di Roccaromana, in quanto in molti documenti di epoca Sveva ed Angioina il castello di Sanfelice viene ritenuto sia di proprietà dei Sanfelice, sia dei Baroni di Roccaromana. Estintosi nel 1324 la famiglia dei Roccaromana, troviamo come unici feudatari in Sanfelice che lo detennero fino alla seconda metà del 1500.
L'ultimo feudatario dei Sanfelice fu Giovan Battista, che è sepolto insieme al fratello Cesare nella Basilica di Santa Chiara in Napoli, in un bellissimo sarcofago di origine greca, che era custodito proprio nel loro palazzo di San Felice.
Nel 1584, quando il castello risultava già diroccato, Adriana Sanfelice nata Caracciolo, vendette il feudo al nobile Pietro Cola Migliaccio, la cui famiglia lo detenne fino al 1644, anno in cui fu confiscato dal reggio fisco per non aver pagato il Relevio, tributo feudale corrispondente circa alla nostra attuale tassa di successione.
Il feudo fu acquistato dai Marchesi Grimaldi di Pietravairano, che lo detennero fino al 1806, dopodichè fu lottizzato e venduto ai privati cittadini.
Nonostante il degrado e l'abbandono ancora fiere si ergono le poderose mura che circondano il piccolo borgo al quale si accede tramite un'unica porta, detta Porta San Nicola. Attraversando questa porta, ricoperta con una volta a botte, percorrendo strette stradine lastricate in pietra si possono ammirare le caratteristiche case, tutte in pietra viva dove sono ancora ben visibili forni e camini, la vecchia chiesa di Santa Maria in Dentro, parzialmente crollata, ma in cui è possibile intravedere i resti degli antichi affreschi che abbellivano le mura. Il palazzo baronale, anch'esso parzialmente crollato ma che conserva su di una parete il più antico affresco rappresentante lo stemma dei Sanfelice. I ruderi dell'antico castello medievale (epoca Normanna), di forma ottagonale, una torre di avvistamento esagonale e varie torrette difensive inglobate nella cinta muraria.
All'esterno delle mura, in prossimità della porta, la piccola e accogliente Chiesa di San Nicola extra moenia, ancora in buono stato di conservazione per la quale sembra siano in programma dei lavori di restauro.

Tra i borghi medievali più suggestivi dell'Alto Casertano vi è senza dubbio quello di Vairano Patenora.
Vairano Patenora è un comune di circa 7.000 abitanti sito sul crinale e a valle di una collinetta dei Monti Trebulani e poco distante sia dal Vulcano di Roccamonfina, che dal Monte Maggiore e dal Matese.
Che il territorio di Vairano fosse abitato fin dalla preistoria lo testimoniano numerosi ritrovamenti, come un raschiatoio di selce rinvenuto sul Monte Catreola, un altro ritrovamento di età eneolitica sul Montauro, un villaggio dell'età del bronzo ai piedi del Monte Catreola come è testimoniato dal numerissimo cocciame sparso su una vasta area. Necropoli risalenti probabilmente all'età del ferro sono state rinvenute nei pressi del Monte Vrecciale, un'altra nella frazione di Marzanello e un'altra ancora in località Corbara.
Nel V-IV secolo a.c il territorio fù occupato dai Sanniti, che costruirono sui monti una serie di centri fortificati di cui si possono ancora ammirare alcuni resti. Nel 290 a.c dopo la fine delle guerre Sannitiche, il territorio passò sotto il dominio di Roma che ne affidò il controllo ai Sidicini in qualità di confederati.
Nel medio evo, Vairano, come il resto di tutti gli altri comuni della zona, fù prima sotto il controllo dominio dei Longobardi VI-X secolo e poi nel 1.138 con la nascita del Regno di Sicilia passa sotto il controllo dei Normanni che costruirono la prima fortezza sulla cima di una collina dalla quale si poteva controllare tutto il territorio circostante. Intorno alla fortezza si sviluppò il villaggio murato che ancora oggi, nonostante i vari rifacimenti nei secoli successivi, si può ammirare. Il castello ha subito diversi assedi di cui due vittoriosamente respinti, uno nel 1193 contro l'abate di Montecassino: Roffredo dell'Isola e l'altro nel 1460 quando fu assediato dalle truppe di Giovanni d'Angiò che tentava di riconquistare il regno sottrattogli dagli Aragonesi.
L'aspetto attuale del castello è quello conferitogli dall'ultimo rifacimento tra il 1491 e il 1503 da Innico di Alois, allora signore di Vairano. Tra il comune di Vairano e quello di Teano è tutt'ora in corso una disputa per attribuirsi lo storico incontro avvenuto nel 1860 tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, che ultimamente sembra essere stato stabilito che fosse avvenuto presso Taverna Catena, nel comune di Vairano Patenora.
Il Castello, sebbene in stato di rudere, si presenta ancora sostanzialmente intatto nella sua conformazione esterna e all'interno è ancora possibile distinguere i vari ambienti. Come già detto, la forma attuale è quella conferitagli nel 1491-1503, nonostante alcuni lavori effettuati nel 1660 da Orazio Mormile che lo trasformò da struttura militare in struttura residenziale. La struttura si presenta con quattro torri circolari (somiglia un pò al Maschio Angioino di Napoli), di cui una più alta e più massiccia delle altre detta "Torre Mastra", forse di epoca precedente. Tra gli elementi di epoca angioina si notano ancora i beccatelli delle torri. Il castello, come tutte le costruzioni del borgo medievale, sono costruiti in pietra calcarea locale.
Il Borgo Medievale. Nonostante le numerose ristrutturazioni avvenute nel periodo aragonese e successive, l'impianto è tipicamente medievale. Esso si sviluppa intorno al castello sulla cima della Collina del Pesco. Le stradine del borgo hanno tutte un andamento curvilineo, che segue l'orografia del luogo. È circondato da mura intervallato da 14 torri con tre porte: "Porta Oliva", "Porta di Mezzo" e "Porta castello". Il borgo oggi quasi del tutto disabitato, conserva la Chiesa di San Tommaso del XIV secolo. Vi sono inoltre un pub e un ristorante.
Attraverso la Porta Oliva si può scendere dal borgo verso l'attuale paese, percorrendo Via Roma in cui &grave possibile ammirare gli splendidi portali di alcuni palazzi 7/800enteschi, tra i quali quelli di maggior spicco i portali di stile catalano del Convento di Sant'Agostino e di Palazzo Vallante.
Altro rudere di grande interesso storico architettonico è la Badia della Ferrara edificata tra il 1171 e 1179 dal monaco circestense Giovanni de Ferraris. All'epoca era molto presigiosa tanto da ospitare il papa Celestino V, Federico II e Carlo II d'Angiò.Nonostante oggi in stato di rudere, conserva la cappella e un affresco del XIII secolo.
Il Convento di Sant'Agostino del XIV secolo, che oltre al suddetto portale catalano conserva un affresco del XVII secolo della Madonna con Bambino e un altro affresco in cui è raffigurato lo stemma di Vairano.
La Chiesa di San Bartolomeo, patrono di Vairano, costruita tra il 1779 e il 1823, ma nella quale furono portati tutti i beni della vecchia chiesa intitolata al patrono costruita nel 1310, tra cui lo stemma dei baroni d'Avalois. Conserva la Statua di San Bartolomeo ed alcuni affreschi della prima metà del 1800.
La Chiesa della Madonna del Loreto costruita nel 1500 da un chierico rimasto colpito da un pellegrinaggio al santuario di Loreto, sorge nei pressi del borgo medievale al di fuori delle mura. È recentemente restaurato e conserva un affresco della Madonna al di sopra dell'entrata principale. Altre chiese di notevole interesse artistico e archittettonico sono quella di Sant'Orsola costruita intorno al 1382 e di San Giovanni del 1700.
Da visitare anche la frazione di Marzanello, con il suo antico borgo medievale e il "Palazzone", un'antica villa romana che nel medioevo fu trasformata in una masseria fortificata con torri e merli. Nel territorio di Vairano è anche presente un piccolo lago: Lago di Vairano.
Da Non perdere la Festa Medievale, che si tiene ogni anno, il secondo fine settimana di agosto nell'antico borgo.